martedì 27 marzo 2007

Policlinico degli orrori




Policlinico Inferno
Laboratori radioattivi incustoditi, migliaia di cartelle cliniche abbandonate, discariche, sporcizia e sigarette ovunque a due passi dai reparti. Il foto racconto dell'inchiesta choc firmata da Fabrizio Gatti all'interno del Policlinico Umberto I di Roma.


domenica 18 marzo 2007

Italia, il teatro supera lo sport


I dati Federculture mostrano un forte incremento dei visitatori delle mostre: più 42,2%. Ma la spesa pubblica resta bassa

Italia, paese affamato di cultura: nel 2006 il teatro supera lo sport

Più spettatori davanti a un palcoscenico che allo stadio: 13,5 milioni contro 12,7

BARI - Sembra uno scherzo, e invece è assoluta verità: gli italiani preferiscono il teatro allo sport. Almeno questo dimostrano i dati relativi all'anno scorso: per la prima volta dopo anni, infatti, il pubblico amante del palcoscenico ha superato quello degli stadi e dei palazzetti. E anche con un notevole scarto: 13,5 milioni contro 12,7.

Le cifre 2006 sono state elaborate da Federculture, e sono state presentate nel corso della quarta Conferenza nazionale degli assessori alla Cultura e al Turismo, in corso a Bari da oggi a sabato 17 marzo, e promossa anche da Anci, Conferenza delle Regioni, Upi, Legautonomia, Uncem e Formez. Un'occasione, da parte degli addetti ai lavori, per fare il punto sull'Italia e sulla sua fame di cultura.

I fondi. Il nostro Paese destina alla cultura 1,8 miliardi di euro l'anno, contro gli oltre 5 miliardi di Gran Bretagna e Spagna. Dal 2002 al 2007, i finanziamenti statali sono scesi dallo 0,35% allo 0,29% del Pil. A compensare almeno in parte questa poca generosità ci sono gli enti locali, che destinano al settore il 3,4% del loro bilancio. Tra i grandi comuni, il più generoso è quello di Torino: 5,09%, seppure in flessione rispetto al 6,80 del 2005.

Gli eventi più amati. A sorpresa, come già detto, il teatro supera lo sport. Ma ci sono altri dati interessanti, sempre sul fronte culturale: ad esempio, nel 2006, le principali mostre organizzate nel nostro Paese hanno registrato ben 7 milioni di visitatori, con un più 42,2% rispetto al 2005. Quanto agli altri appuntamenti, oltre a quelli ormai consolidati (il Festival della filosofia di Modena, il Festivaletteratura di Mantova, il Ravello Festival, eccetera) i dati forniti al Convegno di Bari sottolineano il boom di alcune iniziative recentissime. Come la Festa del cinema di Roma (150 mila spettatori) o il Festival Economia di Trento (50 mila presenze).

La hit parade delle mostre. Stravince l'esposizione dedicata a Gauguin e Van Gogh, al museo di Santa Giulia di Brescia: oltre 541 mila visitatori. Seguono, sul podio, Antonello da Messina alle Scuderie del Quirinale di Roma (318 mila); Caravaggio e l'Europa al Palazzo Reale di Milano (313 mila). Poi, dal quarto al decimo posto: Modigliani al Vittoriano di Roma; Mantegna a Mantova; Millet, ancora al Santa Giulia di Brescia; Cina - Nascita di un impero alle Scuderie del Quirinale; Argenti a Pompei al Museo archeologico nazionale di Napoli; Raffaello alla Galleria Borghese di Roma; Manet al Vittoriano.

I musei e i siti archeologici. Qui, le cifre sono, come quasi ogni anno, da record. Lo scettro spetta ai Fori imperiali di Roma: oltre 2 milioni 784 mila spettatori, con un più 1,85% rispetto al 2005. Seguono gli scavi di Pompei (1 milione 810 mila) e il Palazzo Ducale di Venezia (un milione 499 mila).

Il punto sul turismo. Tra marzo e novembre 2006 hanno visitato il nostro Paese 32,2 milioni di stranieri. L'incremento medio, registrato nelle dieci province italiane a maggiore vocazione di turismo culturale, è stato del 18%: Roma, Venezia, Milano e Firenze sono le quattro città che hanno avuto le migliori performance. Trend negativo, anche se contenuto (meno 1%), per le province con offerta turistica di tipo prevalentemente paesaggistico (mare e montagna).

(15 marzo 2007)



martedì 13 marzo 2007

Basta essere adolescenti


"Ho voglia di te", il seguito di "Tre metri sopra il cielo"
Basta essere adolescenti
per apprezzare i lucchetti


Perché quando uno, avendo una certa età e per di più trovandosi lì con il ruolo sempre un po' antipatico di "critico", prova un vago imbarazzo a vedere film come Ho voglia di te? Perché non riconosce, non può riconoscere il valore banale quanto volete ma eterno di racconti così.

È probabilissimo che Scamarcio e Chiatti comunichino a chi ha gli anni giusti lo stesso emozionato tremore che, non so, trentacinque anni prima comunicavano Warren Beatty e Julie Christie (I compari di Altman. Solo uno dei tanti possibili esempi) a chi gli anni giusti li aveva in quel momento. Quindi: resistenza a girare la testa dall'altra parte, irritati o imbarazzati, e a bofonchiare o proclamare "ma che stronzata". Sforzo di obiettività e, acrobaticamente, di mettersi nei panni dei destinatari.

Risultato: il seguito di Tre metri sopra il cielo, delle avventure amorose del ribelle Step diventate oggetto di culto per gli adolescenti, è piuttosto ben fatto. Snodi efficaci, valorizzazione degli sfondi romani compresi i famosi lucchetti di Ponte Milvio recentemente difesi dal poetico sindaco della Capitale, buona scrittura di situazioni e personaggi (non tutti). E soprattutto due protagonisti perfettamente in grado di "passare" quel sentimento semplice e immediato dell'identificazione generazionale creato mezzo secolo fa da Brando e Jimmy Dean. Laura Chiatti ha trovato più qui che nei più nobili film di Francesca Comencini e Paolo Sorrentino l'occasione di dimostrarsi attrice.
(p. d'a.)

Ho voglia di te
Regia di LUIS PRIETO
Con RICCARDO SCAMARCIO, LAURA CHIATTI, CLAUDIO AMENDOLA


(9 marzo 2007)

lunedì 12 marzo 2007

Donne viaggiatrici




Giro del mondo - Al femminile


Come si è evoluto nel tempo il loro ruolo e la loro immagine? Un tempo si dovevano travestire da uomini per conoscere il mondo. Oggi sono scienziate, giornaliste, antropologhe, geografe o semplici turiste, curiose di conoscere Paesi lontani, a volte anche pericolosi

Alla National Portrait Gallery di Londra nel 2004 è stata allestita una mostra sulle donne viaggiatrici. Esposizione documentata di biografie: di ecclesiastiche impegnate in solitari pellegrinaggi sino alle più moderne aviatrici/avventuriere dei cieli, passando per agiate signore con la insopprimibile passione per il viaggio, espressa sotto forma di vocazione alla ricerca antropologica, alla diplomazia internazionale, all'avventura tout court.

Come si è evoluta nel tempo la figura della viaggiatrice? "La notte scorsa eravamo sporche, isolate dal resto del mondo e libere, stanotte siamo pulite, di nuovo nel mondo civile e prigioniere". Scriveva così al suo ritorno a casa Louisa Jebb, un'aristocratica londinese che all'inizio del Novecento insieme ad un'amica aveva attraversato la Turchia a cavallo. Viaggiare era smentire il pregiudizio sociale che voleva la donna mansueta, curiosa ma solo di frivolezze, e soprattutto sedentaria. Una forma di emancipazione riservata esclusivamente a donne di classe sociale elevata (bene lo racconta una graziosa antologia edita da Archinto, Le vere signore non viaggiano). Diversamente, la sola strada data a una donna per girare il mondo era fingersi uomo. Isabelle Eberhardt, svizzera di origine russa innamorata della cultura berbera e orientale, alla fine dell'Ottocento conobbe il Maghreb e lo descrisse dopo averlo osservato dietro il suo travestimento di beduino. Morì giovanissima nel deserto. Ma era riuscita a non farsi scoprire, e a scrivere.

Oggi le viaggiatrici sono migliaia. Possiamo curiosare tra siti internet a loro dedicati, o leggere nelle guide turistiche appendici consacrate alla categoria "donne", dove con delusione trovare indicati solo locali notturni dove assistere a spogliarelli maschili, hammam, sofisticate boutiques. Alle "turiste per caso" che si suppone si spostino per leggerezza, per innato desiderio di ribellione quando non per fame di sesso, va aggiunta la categoria delle viaggiatrici per professione. Scienziate, giornaliste inviate, antropologhe. Donne che di continuo vanno e vengono da paesi lontani, il più delle volte pericolosi. Con coraggio cercando di inserirsi in realtà piagate da un maschilismo protervo. Attraversando i deserti e sfidando le intemperie. Sole, audaci, incrollabili. Che viaggiano e quando tornano a casa raccontano e scrivono, forti tra le altre cose della potenza mediatica del loro essere, oltre che temerarie nomadi, donne.

Evoluzioni apparenti, dietro cui si nascondono concezioni immutate. A legger tra le righe del pensiero comune si può scoprire quanto l'immagine che una donna nomade proietta di sé continui ad essere quella di una figura inquieta, errabonda e quindi disequilibrata, non del tutto adulta e responsabile, insomma un tipo strano e in termini "femminili" non proprio raccomandabile. Che femmina è mai quella che sceglie di vivere sparpagliandosi in giro per il mondo? Una che per temperamento o per reazione a chissà quale destino avverso ha scartato l'ipotesi di costruirsi un nido, un focolare del quale essere il quieto angelo.

La scrittrice Clarice Lispector, nata in Ucraina subito poi emigrò in Brasile; di famiglia ebrea, sposò un diplomatico e trascorse molti anni non facendo altro che cambiare paesi e case. Sembrava destinata ad errare. Eppure (traduco in questo periodo il suo epistolario) di se stessa spiegava: "In verità io non so scrivere lettere sui viaggi; in verità non so nemmeno viaggiare. È interessante come stando poco tempo nei posti, io veda poco. Trovo la natura tutta più o meno simile, le cose quasi tutte uguali". Dichiarazioni coraggiose, in contrasto con l'attuale proliferare di cronache di viaggi spesso compiuti in gran fretta, "vai-torna-e-racconta", "ho visto-ho capito-adesso vi spiego". Sembra che tra facoltose viaggiatrici del passato e agguerrite nomadi contemporanee non ci sia molta differenza.
Tutte hanno viaggiato per dimostrare qualcosa, a se stesse in prima battuta e subito dopo al mondo. Per trattenere una memoria visiva dei luoghi visitati e attorno ad essa, una volta tornate indietro, tessere l'ordito della trama supplementare del loro racconto. Ma il racconto annulla, verbalizzandoli, i frutti più preziosi del viaggiare: lo spaesamento, la trasformazione interiore, l'insegnamento dell'esperienza. Se riferire presuppone che si sia ritornati, la cronaca di un viaggio, nel suo valore di testimonianza, realistica o di finzione, contiene in sé il rischio di azzerare l'effetto dello spostamento.

Viaggiatrici vanno allora cercate in un altro universo, meno clamoroso, meno documentato e molto meno allegro. Quello delle donne che non si spostano per desiderio, non per "dimostrazione" ma per necessità. Costrette a cercare fortuna altrove, in terre che non sono le loro. Donne vendute, promesse da altri a uomini che non le rispetteranno. Accecate dalla illusione di un benessere che molte volte si rivela essere una situazione di ricatto, condizionamento, prigione psicologica. Donne migranti. Donne che scappano dalla guerra. Ho intervistato anni fa una iraniana, nel suo buio monolocale sul limitare deserto di una periferia di Roma. In Italia da vent'anni, continuava a parlarne come di un paese straniero: con amore e insieme con sdegno. "Vivo qui come fossi in viaggio" disse per spiegarmi la solitudine, il senso di continua disappartenenza. Da secoli esistono queste viaggiatrici coatte. Bianche, nere, giovanissime o già anziane. Che tirano avanti macerandosi nella nostalgia delle loro terre d'origine - dove però, raffrontando le diverse condizioni di vita, non vorrebbero più ritornare. E poiché non tornano, non raccontano. Vivono in transito. In viaggio. Viaggiano spesso per una vita intera. Quanto potremmo imparare dalle loro storie, su cosa sia l'essere viaggiatrici.

- La nostra autrice - Lisa Ginzburg vive e lavora tra Roma e Salvador de Bahia. Ha pubblicato numerosi libri, tra questi Colpi d'ala (Edizioni Feltrinelli), Anita, Storia di Anita Garibaldi (Edizioni E/O). Ha vinto nel 2003 il Premio Donna Argentario con Desiderava la bufera

Lisa Ginzburg

martedì 6 marzo 2007

SANREMO 2007: ho ascoltato l'album di SIMONE CRISTICCHI



Da Sanremo a casa mia ci sono 5 ore di autostrada. Io non guido. Ho paura. Meno male che c'è Stefano che si fa carico delle mie "incapacità" e mi riporta a destinazione. Durante il viaggio ascoltiamo la radio per sentire se le canzoni di Sanremo siano già "nell'aria" , ma a dir la verità in un paio d'ore di zapping becchiamo giusto la "canzone regina" e quella degli Stadio, tutto il resto è straniero: forse abbiamo solo avuto poca fortuna.

Sul sedile di dietro ho una borsa piena di cd sanremesi. Ogni artista omaggiava la stampa con almeno un singolo, alla fine della sua conferenza . A parte La Paranza, Milva e Johnny Dorelli, ho quasi tutto. Di Simone Cristicchi ho l'opera omnia. Album, libro e dvd. Ma lui oltre alla conferenza, ha anche incontrato i giornalisti al Cinema Tabarin per la presentazione del suo progetto che comprende un documentario davvero toccante sui vecchi manicomi e sui nuovi centri di igiene mentale. Testimonianze di pazienti, infermieri e medici che ci raccontano cosa sia accaduto prima della legge 180 e come stiano le cose oggi nei laboratori diurni che aggregano le persone con disagi mentali.

Il documentario e il libro "Centro d'igiene mentale" prendono spunto da alcune lettere ritrovate nel manicomio di Volterra. Lettere scritte dai pazienti, a volte vere e proprie invocazioni d'aiuto, che non arrivavano mai a destinazione e restavano ad ingiallire dentro le cartelle cliniche.

La canzone con cui Simone Cristicchi ha vinto il 57mo Festival di Sanremo, fa parte di questo stesso progetto e ne rappresenta uno dei momenti più commoventi.

"Ti regalerò una rosa" è contenuta nel nuovo album "Dall'altra parte del cancello" che a sua volta contiene l'omonimo documentario di cui vi parlavo prima. Un lavoro grande, importante, impegnato e impegnativo che avrebbe fatto onore a Simone anche se non avesse vinto il Festival.

Le altre canzoni del disco sono tutte dello stesso ottimo livello di quella che Sanremo ci ha fatto conoscere. Alcune molto divertenti ed ironiche, come L'Italia di Piero e Non ti preoccupare Giulio o la rivisitazione in chiave multietnica de L'Italiano di Toto Cotugno o il seguito naturale di Studentessa universitaria "Laureata precaria". Bellissima, anche se ha finito poi per sollevare alcune polemiche, "Legato a te" dedicata a Piergiorgio Welby, un immaginario dialogo tra l'uomo e la macchina che lo tiene in vita.

Deliziosamente retrò Il nostro tango. Caustica Nostra Signora dei Navigli dedicata alla poetessa Alda Merini.

Il mio voto all'album: 8 e mezzo

martedì 27 febbraio 2007

via quei lucchetti

I lampioni di Ponte Milvio ne sono ricoperti: una moda lanciata dall'ultimo
libro di Federico Moccia. L'Ulivo chiede di fare pulizia, il sindaco dice no
"Via quei lucchetti dell'amore"
lo stop di Veltroni: lasciateli lì




"Via quei lucchetti dell'amore"
lo stop di Veltroni: lasciateli lì


Ponte Milvio, i lucchetti dell'amore
di GABRIELE ISMAN
ROMA - È polemica nella capitale sui lucchetti dell'amore a Ponte Milvio. Nell'ultimo anno, seguendo le orme di Gin e Step, i protagonisti del libro "Ho voglia di te" di Federico Moccia, centinaia di giovani coppie innamorate si sono giurate amore eterno lasciando i propri lucchetti sui lampioni di quello che è il più antico tra i ponti ancora integri di Roma, menzionato per la prima volta nel 207 avanti Cristo. E le chiavi? Gettate nel Tevere.

L'Ulivo, gruppo di minoranza nell'unico municipio - il XX - governato dal centrodestra a Roma, propone di ripulire i lampioni. La Casa delle Libertà dell'ex circoscrizione insorge, e alla fine, dal Campidoglio, il sindaco Walter Veltroni dice: "Se non ci sono problemi per la stabilità dei lampioni e del ponte, non vedo nulla di male a che i lucchetti restino. Mi sembra una manifestazione spontanea e bella".

All'origine della polemica, il libro di Moccia. "Ho voglia di te", seguito di "Tre metri sopra il cielo" è stato tradotto in 13 lingue, vendendo, secondo l'autore, oltre 3 milioni di copie. Presto uscirà anche il film, con Riccardo Scamarcio e Laura Chiatti, e i lampioni sono diventati attrazioni per i turisti. "Ultimamente - dice Massimo Denaro, capogruppo dell'Ulivo al municipio - è stata appesa persino la ruota di un ciclomotore, e lucchetti sono stati messi anche sulla porta della Torretta di Ponte Milvio che è stata appena restaurata e sulle catene antitraffico".

Quindi la richiesta è di toglierli? "Non vogliamo reprimere i sentimenti dei ragazzi - dice ancora Denaro - ma serve una valutazione storico-scientifico sul Ponte, che non è soltanto un posto per i lucchetti. Secondo noi, lungo la pista ciclabile che passa a lato di Ponte Milvio, si potrebbero realizzare strutture ad hoc per i lucchetti, e gli innamorati potranno continuare a gettare nel Tevere le chiavi per giurarsi amore eterno".
Il coordinatore romano della Margherita, Roberto Giachetti, appoggia l'idea di rimuovere i lucchetti: "La moda delle giovani coppie romane sta portando al collasso i lampioni di Ponte Milvio. Propongo al Comune di prevedere un piano di ripulitura come già disposto per Fontana di Trevi: una volta al mese, un incaricato del Comune provvederà alla raccolta dei lucchetti il cui ricavato, ottenuto dalla vendita dell'ottone, verrà donato alla Croce Rossa Italiana".
Ma i lucchetti sono difesi a spada tratta dal centrodestra: Marco Daniele Clarke, assessore municipale ai Lavori Pubblici ed esponente di An, parla di "un'iniziativa retriva e miope che offende i tanti innamorati che hanno collocato un lucchetto su Ponte Milvio. Proprio in questi tempi in cui vi sono tanti messaggi di odio stupisce che si voglia invece colpire chi manifesta il proprio amore. Il messaggio del lucchetto è un messaggio forte, estremamente positivo, che vuole affermare un sentimento profondo e vissuto di contro alla precarizzazione ed alla banalizzazione dei sentimenti. Non vi è dubbio che il decoro del Ponte vada preservato, ma non è certo con misure rozze e semplicistiche, quali la rimozione dei lucchetti, che si può risolvere il problema".

E, ancora da An, il consigliere comunale Federico Guidi si chiede perché Ponte Milvio non possa essere come la casa di Romeo e Giulietta a Verona "dove da sempre esiste la consuetudine di poter affiggere sulle pareti esterne". No alla rimozione dei lucchetti anche da Azione universitaria, vicina ad An, e l'ultima parola è di Veltroni: "I lucchetti possono restare".

(27 febbraio 2007)

martedì 20 febbraio 2007

"Vedi Napoli e poi muori"


LE RECENSIONI
Convince la docufiction di Enrico Caria sulla realtà partenopea

"Vedi Napoli e poi muori"
la città tra inchiesta e finzione



Secondo la sua sensibilità di autore satirico e umoristico il napoletano Enrico Caria (insieme al regista Felice Farina) ha raccontato a suo modo - ma un modo puntuto, che non la "butta a ridere" - quella che non solo i periodici allarmi giornalistici percepiscono come la capitale della criminalità, dell'insicurezza, dell'impossibilità di vivere serenamente e onestamente.

In Vedi Napoli e poi muori, il miscuglio di inchiesta e finzione si serve come traccia della biografia dello stesso autore - prima in fuga da Napoli, poi tornato pieno di aspettative per il Rinascimento Bassoliniano, poi di nuovo tentato dall'abbandono - per ripercorrere le tappe dell'ultimo quarto di secolo di storia della tenaglia malavitosa sulla città tra una guerra di camorra e l'altra.

La trasformazione della criminalità dalla spartizione dei quartieri all'internazionalizzazione, la droga, la separazione tra killer di strada disposti a tutto e cupola dei quartieri alti al riparo di professioni rispettabili e imprese pulite, le nuove periferie come Scampia su cui si sono accesi - e spenti - i riflettori anche se da lì continuano a transitare, fonte di "lavoro" e reddito per molti, 16 miliardi di euro annui in droga. "Il fenomeno criminale è inarrestabile perché i napoletani ci convivono oppure ci convivono perché è inarrestabile?".

Inquietanti riferimenti alle "distrazioni" delle forze dell'ordine, e molti testimoni da Roberto Saviano (che vive sotto scorta dopo Gomorra) a Pino Arlacchi. (p. d'a.)

VEDI NAPOLI E POI MUORI
Regia di ENRICO CARIA
(26 gennaio 2007)

venerdì 9 febbraio 2007

I have a green


Caserta, le cave, il cemento, le discariche...
e un'area verde di 33 ettari in centro città da sottrarre al cemento: il
MACR
ICO.

Cosa sta succedendo? Perché il futuro del MACRICO coincide col
f
uturo della città di Caserta?

Un film per raccontare i disagi della gente in un territorio devastato
dal mercato dell'edilizia e per gridare la voglia di verde.
PRIMA PROIEZIONE 19 GENNAIO 2007 ore 18:00

AUDITORIUM via Ceccano - Caserta.

IL FUTURO DEL MACRICO DIPENDE ANCHE DA TE!

WWW.IHAVEAGREEN.ORG