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domenica 9 maggio 2010

I CENTO PASSI DI PEPPINO




La targa di Peppino Impastato
sulla casa dei Cento passi

A Cinisi ospiterà il centro a lui intitolato. Il fratello la visita per la prima volta: riaprite le indagini. Ma è allarme: le mani dei boss sui beni confiscati alla mafia
di SALVO PALAZZOLO

La targa di Peppino Impastato sulla casa dei Cento passi Il fratello di Peppino Impastato saluta il movimento antimafia dal balcone

PALERMO - Quando il sindaco di Cinisi apre la porta di casa Badalamenti, Giovanni Impastato corre su per le scale, fino al grande salone dove un tempo il padrino della Cupola teneva udienza. "Trent'anni ho aspettato - sussurra - in questo salone Gaetano Badalamenti avrà deciso la morte di mio fratello Peppino". E continua a guardarsi attorno, anche se non è rimasto più nulla nel salone delle feste e dei summit: "Mi sembra ancora di vederli - dice Giovanni Impastato - i mafiosi che ridevano al balcone e i politici che arrivavano da Palermo". E mentre lo ripete, va ad aprire le persiane: "Ma adesso la casa di Badalamenti è stata confiscata ed è stata affidata dal Comune all'associazione che porta il nome di Peppino. Qui si trasferirà anche la biblioteca comunale". Dal balcone dove si affacciavano i potenti di Sicilia, Giovanni Impastato guarda adesso cento passi oltre, dove c'è la casa di Peppino: "È come se quei cento passi non ci fossero più - dice - è come se Peppino e nostra madre Felicia fossero qui".

Eccola, la casa simbolo della mafia che negli anni Settanta era già arrivata al culmine del potere. È nella strada principale di Cinisi, corso Umberto 183. Una palazzina a due piani che Falcone e Borsellino avevano sequestrato nel 1985. Ma ci sono voluti altri venticinque anni per la confisca: venerdì, il sindaco Salvatore Palazzolo ha consegnato le chiavi della casa a Impastato. "Segno importante di questi tempi - dice Elio Collovà, amministratore giudiziario di beni sequestrati alla mafia - con la nuova legge c'è il concreto rischio che i padrini possano riacquistare all'asta i propri beni ancora non assegnati". L'allarme è sottoscritto da un gruppo di amministratori siciliani.

Il segno della ricchezza e del potere di don Tano è appena oltre la porta d'ingresso: è la scala in onice che apre al piano nobile. "Ci sono saliti giovani mafiosi come Bernardo Provenzano e Luciano Liggio", ricorda Giovanni. I mobili che arricchivano la casa sono stati portati via quindici giorni fa da alcuni operai che sembravano avere molta fretta. Ma alla fine del trasloco, hanno anche spazzato per terra. Non c'è un solo foglio di carta in giro.

Non c'è neanche la corrente elettrica a casa Badalamenti. Bisogna aprire le finestre per addentrarsi da una parte all'altra della casa. Saranno 250 metri quadrati per ognuno dei tre piani. "Ricordo di averci giocato da bambino in queste stanze - dice Impastato - ci portava nostro padre". In terrazza potevano salire solo in pochi, per assistere alla gara dei cavalli nel corso.

All'ultimo piano, sono rimasti i segni di un inizio di ristrutturazione. Il padrino sperava ancora di ottenere un sconto sulla condanna americana. Erano i giorni in cui accettava di fare un verbale con il maresciallo Antonino Lombardo e ammetteva di essere stato confidente dell'Arma. Il 5 marzo 1995, il maresciallo si è sparato un colpo di pistola. E sono scomparsi i suoi appunti. Badalamenti è rimasto nelle carceri americane, dove è morto nel 2004.

Dice Giovanni Impastato: "Chiedo che le indagini sulla morte di Peppino vengano riaperte. Bisogna fare luce sui depistaggi che hanno favorito Badalamenti". Un'inchiesta de L'Espresso ripercorre in questi giorni le tappe del mistero. Sono racchiuse in una domanda: quali relazioni intratteneva Badalamenti con pezzi delle istituzioni?

Da. La Repubblica.it, 9/5/2010

venerdì 24 ottobre 2008

Una firma per Saviano, siamo oltre 195.000

Roberto Saviano è minacciato di morte dalla camorra, per aver denunciato le sue azioni criminali in un libro - "Gomorra" - tradotto e letto in tutto il mondo. E' minacciata la sua libertà, la sua autonomia di scrittore, la possibilità di incontrare la sua famiglia, di avere una vita sociale, di prendere parte alla vita pubblica, di muoversi nel suo Paese. Un giovane scrittore, colpevole di aver indagato il crimine organizzato svelando le sue tecniche e la sua struttura, è costretto a una vita clandestina, nascosta, mentre i capi della camorra dal carcere continuano a inviare messaggi di morte, intimandogli di non scrivere sul suo giornale, "Repubblica", e di tacere. Lo Stato deve fare ogni sforzo per proteggerlo e per sconfiggere la camorra. Ma il caso Saviano non è soltanto un problema di polizia. E' un problema di democrazia. La libertà nella sicurezza di Saviano riguarda noi tutti, come cittadini. Con questa firma vogliamo farcene carico, impegnando noi stessi mentre chiamiamo lo Stato alla sua responsabilità, perché è intollerabile che tutto questo possa accadere in Europa e nel 2008.

di PAOLA COPPOLA
ROMA - Oltre 170mila firme per Roberto Saviano, per prote
ggerlo dalle minacce, per chiedere allo Stato di sconfiggere la camorra. Perché Saviano è un "problema di democrazia", come recita l'appello dei Nobel. In difesa dell'autore di "Gomorra" si è creata una mobilitazione eccezionale in Italia e all'estero. Hanno firmato l'appello altri Nobel, e tanti intellettuali, politici, scrittori, personaggi dello spettacolo, molti registi, e moltissimi cittadini, classi, associazioni.

"La libertà nella sicurezza di Saviano riguarda tutti noi, come cittadini", dice l'iniziativa di solidarietà lanciata da Dario Fo, dallo scrittore tedesco Günter Grass e dal turco Orhan Pamuk, da Michail Gorbaciov, dall'arcivescovo sudafricano Desmond Tutu e da Rita Levi Montalcini. A loro si sono aggiunti altri Nobel: lo scrittore portoghese José Saramago, la scrittrice e drammaturga austriaca Elfriede Jelinek, l'attivista nordirlandese Betty Williams, la poetessa polacca Wislawa Szymborska, il leader storico di Solidarnosc, Lech Walesa, e ieri anche l'iraniana Shirin Ebadi, l'argentino Pérez Esquivel e Renato Dulbecco. Anche Medici senza frontiere ha aderito all'appello: "Nel suo lavoro di organizzazione umanitaria in situazioni di conflitto, Msf è testimone di violenze e atrocità in regioni che ricevono scarsa attenzione da parte dell'opinione pubblica. Per poter denunciare tutto questo abbiamo bisogno di giornalisti che, come Roberto, hanno il coraggio di raccontare realtà spesso invisibili di violenza e di chi la subisce", chiarisce l'organizzazione.

Si sono schierati per lo scrittore, minacciato dalla camorra, tanti altri scrittori: da Paul Auster a Ian McEwan fino a Tahar Ben Jelloun, e Abraham Yehoshua e David Grossman, e gli italiani Rosetta Loy, Giancarlo De Cataldo, Francesco Piccolo e Sandro Veronesi. Il mondo dello spettacolo si sta mobilitando per "Gomorra", che è diventato anche un film di Matteo Garrone: registi come Martin Scorsese, Spike Lee, Arthur Penn, Milos Forman, Paul Mazursky, e Ermanno Olmi, Davide Ferrario, Ferzan Ozpetek, Nanni Moretti e Mario Martone hanno aderito all'appello.

Le iniziative in favore dello scrittore continuano a moltiplicarsi in tutto il paese, come le letture pubbliche del suo bestseller, mentre è ancora possibile firmare l'appello sul sito di Repubblica. Passi di "Gomorra" sono stati letti alla Camera, e la solidarietà a Saviano e la proposta di una seduta del consiglio da fare in un paese del casertano hanno scatenato una discussione durante una seduta del Consiglio regionale campano, che a fine giornata ha approvato all'unanimità un ordine del giorno nel quale si esprime vicinanza allo scrittore.

Saviano: "Ogni voce che resiste mi rende meno solo"


GRAZIE per tutto quanto state facendo. È difficile dimostrare quanto sia importante per me quello che è successo in questi giorni. Quanto mi abbia colpito e rincuorato, commosso e sbalordito sino a lasciarmi quasi senza parole. Non avrei mai immaginato che potesse accadere niente di simile, mai mi sarei sognato una tale reazione a catena di affetto e solidarietà. [...]


Firma anche tu

venerdì 17 ottobre 2008

Maroni "ridimensiona" Saviano

"La lotta al crimine la facciamo noi"

Il ministro dell'Interno: "E' un simbolo, ma non il simbolo della lotta ai criminali"

E ancora: "Non è da oggi che si combatte la camorra, si fa da anni in silenzio"

NAPOLI - Parole forti, perfino frecciate polemiche, del ministro degli Interni Maroni a Roberto Saviano. "E' un simbolo - dice il ministro - ma non è il simbolo. La lotta alla criminalità organizzata la fanno poliziotti, carabinieri, magistrati, imprenditori che sono in prima linea ma non sulle prime pagine dei giornali".

Il titolare del Viminale è a Napoli, dove a margine della firma di un protocollo per la legalità con gli imprenditori si augura che lo scrittore non lasci l'Italia "perché contribuisce con la sua immagine al contrasto alla crimininalità organizzata", ma anche perchè non ritiene "una buona idea quella di andarsene. Non mi pare ci sia certezza di evitare la vendetta camorristica che non ha confini".

Poi Maroni ribadisce: "Non è da oggi che si combatte la camorra, lo si fa da sempre in silenzio. Al di là della risonanza mediatica e della vicenda personale di Saviano la lotta alla criminalità organizzata si fa quotidianamente da parte di tutte le forze dello stato, sempre più con il coinvolgimento dei cittadini".

"Non vorrei ridurre lo Stato nella sua azione - conclu de il ministro - a una personificazione".

''Saviano fatti i fatti tuoi'': I ragazzi del Liceo Scientifico di San Cipriano sullo scrittore: "Uno scemo", "poteva stare zitto"

Cosa pensano i giovani di Casal di Principe.

(17 ottobre 2008)

Conosci il romanzo di Roberto Saviano Gomorra?
E Gomorra, il film di Matteo Garrone tratto dall'om
onimo romanzo?

martedì 27 marzo 2007

Policlinico degli orrori




Policlinico Inferno
Laboratori radioattivi incustoditi, migliaia di cartelle cliniche abbandonate, discariche, sporcizia e sigarette ovunque a due passi dai reparti. Il foto racconto dell'inchiesta choc firmata da Fabrizio Gatti all'interno del Policlinico Umberto I di Roma.


martedì 27 febbraio 2007

via quei lucchetti

I lampioni di Ponte Milvio ne sono ricoperti: una moda lanciata dall'ultimo
libro di Federico Moccia. L'Ulivo chiede di fare pulizia, il sindaco dice no
"Via quei lucchetti dell'amore"
lo stop di Veltroni: lasciateli lì




"Via quei lucchetti dell'amore"
lo stop di Veltroni: lasciateli lì


Ponte Milvio, i lucchetti dell'amore
di GABRIELE ISMAN
ROMA - È polemica nella capitale sui lucchetti dell'amore a Ponte Milvio. Nell'ultimo anno, seguendo le orme di Gin e Step, i protagonisti del libro "Ho voglia di te" di Federico Moccia, centinaia di giovani coppie innamorate si sono giurate amore eterno lasciando i propri lucchetti sui lampioni di quello che è il più antico tra i ponti ancora integri di Roma, menzionato per la prima volta nel 207 avanti Cristo. E le chiavi? Gettate nel Tevere.

L'Ulivo, gruppo di minoranza nell'unico municipio - il XX - governato dal centrodestra a Roma, propone di ripulire i lampioni. La Casa delle Libertà dell'ex circoscrizione insorge, e alla fine, dal Campidoglio, il sindaco Walter Veltroni dice: "Se non ci sono problemi per la stabilità dei lampioni e del ponte, non vedo nulla di male a che i lucchetti restino. Mi sembra una manifestazione spontanea e bella".

All'origine della polemica, il libro di Moccia. "Ho voglia di te", seguito di "Tre metri sopra il cielo" è stato tradotto in 13 lingue, vendendo, secondo l'autore, oltre 3 milioni di copie. Presto uscirà anche il film, con Riccardo Scamarcio e Laura Chiatti, e i lampioni sono diventati attrazioni per i turisti. "Ultimamente - dice Massimo Denaro, capogruppo dell'Ulivo al municipio - è stata appesa persino la ruota di un ciclomotore, e lucchetti sono stati messi anche sulla porta della Torretta di Ponte Milvio che è stata appena restaurata e sulle catene antitraffico".

Quindi la richiesta è di toglierli? "Non vogliamo reprimere i sentimenti dei ragazzi - dice ancora Denaro - ma serve una valutazione storico-scientifico sul Ponte, che non è soltanto un posto per i lucchetti. Secondo noi, lungo la pista ciclabile che passa a lato di Ponte Milvio, si potrebbero realizzare strutture ad hoc per i lucchetti, e gli innamorati potranno continuare a gettare nel Tevere le chiavi per giurarsi amore eterno".
Il coordinatore romano della Margherita, Roberto Giachetti, appoggia l'idea di rimuovere i lucchetti: "La moda delle giovani coppie romane sta portando al collasso i lampioni di Ponte Milvio. Propongo al Comune di prevedere un piano di ripulitura come già disposto per Fontana di Trevi: una volta al mese, un incaricato del Comune provvederà alla raccolta dei lucchetti il cui ricavato, ottenuto dalla vendita dell'ottone, verrà donato alla Croce Rossa Italiana".
Ma i lucchetti sono difesi a spada tratta dal centrodestra: Marco Daniele Clarke, assessore municipale ai Lavori Pubblici ed esponente di An, parla di "un'iniziativa retriva e miope che offende i tanti innamorati che hanno collocato un lucchetto su Ponte Milvio. Proprio in questi tempi in cui vi sono tanti messaggi di odio stupisce che si voglia invece colpire chi manifesta il proprio amore. Il messaggio del lucchetto è un messaggio forte, estremamente positivo, che vuole affermare un sentimento profondo e vissuto di contro alla precarizzazione ed alla banalizzazione dei sentimenti. Non vi è dubbio che il decoro del Ponte vada preservato, ma non è certo con misure rozze e semplicistiche, quali la rimozione dei lucchetti, che si può risolvere il problema".

E, ancora da An, il consigliere comunale Federico Guidi si chiede perché Ponte Milvio non possa essere come la casa di Romeo e Giulietta a Verona "dove da sempre esiste la consuetudine di poter affiggere sulle pareti esterne". No alla rimozione dei lucchetti anche da Azione universitaria, vicina ad An, e l'ultima parola è di Veltroni: "I lucchetti possono restare".

(27 febbraio 2007)