domenica 29 marzo 2009

Donne in Afghanistan oggi

IL REPORTAGE / La battaglia delle afgane che lavorano: "Con loro nessun accordo"
"Dicono che non possiamo lavorare, ma come facciamo a mantenere i figli da sole?"


Tra le poliziotte e le maestre di Kabul: "Se tornano i Taliban per noi è la fine"


Tra le poliziotte e le maestre di Kabul "Se tornano i Taliban per noi è la fine"
Wahida ispettrice per la sicurezza in un cantiere a Kabul

KABUL - Dietro la sciarpa nera che le nasconde il viso, la voce di Wahida suona dolce e tranquilla. "Il mio lavoro è occuparmi della sicurezza. Vigilo che tutti indossino casco e scarpe, perché nessuno si faccia male in cantiere". Mentre parla, intorno a lei si muovono decine di operai. Tutti uomini. Qualcuno le passa accanto e lancia sguardi di fuoco: lei finge di non vedere.

Wahida è un nome falso. La giovane madre venticinquenne che parla nascosta dalla sciarpa è una delle due donne sugli 850 operai che stanno costruendo, con fondi americani, la nuova centrale elettrica di Kabul. Ogni giorno viene al lavoro insieme a suo marito, Sahid. Ogni giorno riceve minacce di morte. "Sono le persone con cui lavoro. Sono anche Taliban certo, ma qualcuno qui dentro li aiuta", dice. Mentre parla arriva un sms, Wahida lo apre e poi mostra il telefono: "Vede? Anche ora. Dicono che mi uccideranno se continuo a lavorare. Ma io non mi fermo. Il nuovo Afghanistan ha bisogno delle sue donne. E i politici che parlano di dialogo con i Taliban dovrebbero ricordarselo".


La forza e il coraggio di donne come Wahida sono una delle prime cose che colpiscono quando si arriva in Afghanistan: dimenticati i proclami del 2002, quando si diceva che avessero buttato via i burqa e fossero pronte a prendere in mano il paese, la maggior parte delle donne qui vive ancora in una condizione di inferiorità. Poche fuori da Kabul osano andare in giro a viso scoperto. Poche vanno a scuola, meno ancora lavorano.

Poi ci sono le eccezioni, come Wahida e la sua collega. O come le poliziotte Malika e Dilbar. O le studentesse Roobina, Parveen e Lida. Ragazze forti, che studiano, lavorano e sperano nel futuro. Donne che oggi hanno un motivo in più per avere paura. Messo alle strette dall'approssimarsi della scadenza elettorale - il voto è previsto ad agosto - e dal calo di popolarità, il presidente Hamid Karzai è tornato a proporre nelle settimane scorse un accordo ai Taliban moderati.

Malalai Kakar, la poliziotta simbolo del riscatto delle donne a Kandahar assassinata dai taliban.

Finora la proposta è stata rifiutata, ma molte qui in Afghanistan temono che prima o poi le trattative si apriranno, e che gli ex studenti di religione possano tornare sulla scena. I diritti delle donne, a quel punto, potrebbero diventare merce di scambio della partita politica, proprio come è accaduto nella valle pachistana dello Swat. E i pochi passi in avanti verrebbero cancellati.

"Non lo accetteremo, mai. Non torneremo indietro" dice Roobina. Gli occhi a mandorla tipici della popolazione hazara, il velo celeste, la ragazza, 18 anni, studia inglese e informatica al Kabul vocational center, probabilmente la scuola migliore della città. Essere ammessa è stata dura, ma lei, come le sue amiche, spera che sia una carta in più per il futuro: "Voglio diventare maestra - racconta - e insegnare alle ragazzine. Come hanno fatto con me quando non potevo andare a scuola a causa dei Taliban. Quel periodo per noi ragazze è stato orribile e non permetteremo che qualcuno ci porti di nuovo indietro. Neanche il presidente". Parveen e Lida annuiscono.

Donne vendono verdura al mercato.

Ma a Kabul parlare è più semplice. La capitale è sempre stata il luogo più tollerante dell'Afghanistan e anche ora che le cose non sembrano volgere al meglio resta, per le donne, il posto più semplice dove vivere. Kunduz, nel nord, è un'altra storia: in quella che fu una delle ultime roccaforti Taliban a cedere nel 2001, solo uscire di casa a volto scoperto è una sfida.

Arruolarsi nella polizia poi, è un disonore e una follia che si può pagare con la vita. Malika, 25 anni, e Dilbar, 20, lo sanno bene: fra gli 840 allievi del centro di formazione per poliziotti sono le uniche donne. E anche se gli istruttori - afgani, tedeschi e americani - non fanno differenza fra loro e i maschi, appena si allontanano gli insulti e le minacce dai colleghi sono la regola. "Dicono che una donna non dovrebbe fare questo - racconta Malika - ma cosa dovrebbe allora fare una che ha 5 figli e un marito che l'ha abbandonata?".

Malika ha scelto di sfidare i luoghi comuni in nome dei 100 dollari al mese del salario di poliziotta: sa che lavorare sarà difficile e sa che se, come si dice in giro, quelli che stavano con i Taliban torneranno al potere a Kunduz, per lei, che ha osato infrangere due barriere - schierandosi con la legge e mischiandosi con gli uomini - la vita diventerà un incubo. "Confido nel governo - dice timida - accetterò quello che faranno. Ma non posso credere che ci sacrificheranno, non di nuovo", aggiunge prima di andare via.

A Malika è meglio non dirlo, ma le sue parole non sono troppo diverse da quelle che le ragazze della valle dello Swat affidavano alla stampa internazionale qualche settimana fa. Poi il governo di Zardari ha deciso di cedere ai Taliban e di permettere che nell'area fosse introdotta la sharia in cambio di una tregua. E le donne hanno perso la voce.

FRANCESCA CAFERRI , la Repubblica.it


"Ora esisto!" Progetto Centri Donna in Afghanistan.

sabato 7 marzo 2009

Tempus fugit


Avete mai pensato che il tempo passa e chissà in quanti lo sprechiamo? Però il mondo continua a girare e tante cose vi succedono. Il tempo corre, la vita passa davanti ai nostri occhi e bisogna godersi la gioventù che non tornerà e approfittare la vecchiaia che è la nostra ultima sfida. Anche se la realtà non sia rosa, il cielo è sempre blu e il sole esce ogni giorno e possiamo solo fermarci in cerca di una nuova prospettiva, riprenderci con una boccata d’aria ed andare ancora avanti.



Majo, una nostra allieva ci ha inviato questo link, premete e guardate un po’... Forse capirete la realtà in cui siamo sommersi. Già tornati? Impressionante, vero? Avete provato a premere su ahora?


Una bellissima canzone di Branduardi: Domenica e lunedì.

mercoledì 4 marzo 2009

Più alunni, meno prof e precari ecco la foto della scuola italiana

Il rapporto sull'ultimo decennio: raddoppiati i docenti non di ruolo
Classi più affollate grazie a un boom al Nord spinto dagli immigrati
di SALVO INTRAVAIA


Mai così "precaria", almeno nell'ultimo decennio. E' la scuola italiana descritta dall'ultimo rapporto del ministero dell'Istruzione dal titolo "10 anni di scuola statale". I ponderoso volume contiene migliaia di dati e si riferisce al decennio (dal 1998/1999 al 2007/2008) che probabilmente ha visto il maggior numero di riforme sulla scuola. A fronte di un incremento degli alunni si è registrato un calo dei docenti stabili, quelli di ruolo, e un vero e proprio boom del precariato.
Ma non solo: le classi si sono riempite grazie all'ingresso degli alunni stranieri ha permesso alla popolazione scolastica italiana di crescere. Il decennio viene contrassegnato anche da una svolta: la corsa ai licei e il crollo degli istituti tecnici. E ancora: il progressivo spopolamento delle scuole del Sud a vantaggio degli istituti settentrionali.

In due lustri, la popolazione scolastica è cresciuta quasi del 3 per cento ma non è stato così in tutte le zone del Paese. Nelle regioni del Nord le scuole hanno dovuto fare posto a 352 mila alunni in più vedendo crescere gli alunni del 13 per cento. Al Sud le classi si sono svuotate inesorabilmente: in pochi anni, la popolazione scolastica si è assottigliata del 6 per cento. Dieci anni fa, il Sud poteva contare su un milione di alunni in più rispetto al Nord, adesso il vantaggio è di appena 350 mila alunni. Con ogni probabilità, a fare la differenza sono stati gli alunni stranieri. Il loro numero è cresciuto di 6 volte e se non fosse stato per la loro presenza gli alunni italiani sarebbero diminuiti del 3 per cento.

Il decennio 1999/2008, nonostante abbia registrato un incremento della popolazione scolastica, ha visto calare il numero dei docenti di ruolo (del 3,4 per cento) e più che raddoppiare (da 64 mila a 141 mila) il numero dei supplenti impegnati dietro la cattedra. Dieci anni fa, si contava un precario ogni 12 insegnanti, oggi ce n'è uno ogni 6. Anche per questa ragione l'ex ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, mise in cantiere un piano per stabilizzare 150 mila precari, messo in soffitta dall'attuale governo.

Oggi, le classi sono più affollate di dieci anni fa, soprattutto nei licei. Gli scientifici hanno vissuto un decennio di grazia: più 27 per cento. Stesso discorso per i classici e per i licei socio-psico-pedagogici (gli ex istituti magistrali) dove gli alunni sono cresciuti di un quinto. E in misura minore anche gli istituti professionali hanno visto aumentare gli alunni (più 13 per cento). Il tutto a scapito dell'istruzione tecnica, fiore all'occhiello del boom economico degli anni sessanta, che ha perso quasi il 7 per cento dei suoi alunni. A conti fatti oltre 65mila studenti.

(4 marzo 2009)

Tempo di tagli, non ci saranno abbastanza insegnanti.
E i genitori brancolano nel buio
La rivolta nelle scuole