Ingredienti: 1 Kg di pomodori maturi, 1 peperone verde, 1 cetriolo, 3 o 4 cucchiai d´olio d´oliva, sale, 1 spicchio d´aglio, un po´di aceto q.b. acqua.
Preparazione : Tagliate i pomodiri e il peperone, pelate il cetriolo e tagliatelo anche. Mettete i pomodori , il peperone e il cetriolo tagliati e spezzati nel vaso di trittare. Aggiungete il sale (non molto) , l´olio , l´aglio e l´aceto. Poi, tritate nel vaso fino a d ottenere un impasto, rovesciatelo nella ciotola e aggiungete acqua al gusto; regolate il sale e l'aceto. Se volete scolate.Si può prendere in piatto o in bicchiere.Per accompagnarlo al piatto, prendete alcuni pezzi di pomodoro senza semi, peperone e cetriolo e tagliateli a dadini e aggiungeteli al piatto.Dovete mangiarlo freddo ma non gelato.
Andres Martí
RAGÙ
Ingredienti: 500 gr. di carne di vitello a pezzittini 1 cipolla 2 carote 1 scatola di pomodoro di 500 gr. 1 bicchiere di vino bianco Sale Pepe
Preparazione: Tagliare a pezzittini le carote e la cipolla. Far rosolare il tutto in un po´ d´olio di oliva. Quando sono ben rosolate aggiungere la carne di vitello. Poi, mescolare bene e far cuocere. Salare e aggiungere un po´di pepe. Aggiungere il bicchiere di vino bianco. Aspettare che il vino sia ben evaporato e dopo, aggiungere la scatola di pomodoro. Far cuocere a fuoco lento per un´ora e mezza o due ore.
Mar Soldevila
FRITTELLE DI CARNEVALE Ingredienti: 500 gr. di farina 150 gr. zucchero 4 uova 2 bicchieri di latte scorza di limone 1 bustina di lievito Sale Cannella
Preparazione:
Unite le uova intere e 150 gr. di zucchero. Mescolate fino ad ottenere una spuma e aggiungete un po’ di sale e la scorza di limone, la cannella che volete, 2 bicchieri di latte e 500 gr. di farina.Mischiate tutto fino ad ottenere una massa omogenea e unite il lievito.Formate delle frittelle con il cucchiaio e mettetele nell’olio bollente. Unavolta cotte, asciugate e servitele con un po’ di zucchero.
Arantxa Camarena
mercoledì 2 dicembre 2009
VIII CONCERTO DELL'EOI DI GANDIA
Maria Velasco......Soprano Cristina Aguilera.... Violoncel Telmo Gadea.....Clave
Palau de González de Quirós, Gandia.
Dimarts 15 de desembre de 2009, 19.00 hores.
Organitza el Departament d’Italià de l’EOI de Gandia.
Col.labora la Regidoria de Cultura de l’Ajuntament de Gandia.
Le bancarelle tra il profumo del pane appena sfornato, l'aroma del vin brulè e delle frittelle di mele. Lo shopping pre natalizio nelle Alpi si fa così, tra statuette di legno, decorazioni, calde pantofole e piccoli strumenti musicali.
Le bancarelle come baite di montagna, il profumo appetitoso del pane appena sfornato, insieme all’aroma del vin brulè e delle frittelle di mele, ad accompagnare uno shopping nella tradizione artigianale delle Alpi, tra statuette di legno, decorazioni, calde pantofole e piccoli strumenti musicali. Mentre il trenino elettrico diverte i bambini e le bande musicali in costume suonano melodie in pieno stile di Natale.
Comincia la festa. E' l'atmosfera che regala la rassegna dei Mercatini di Natale in Alto Adige/Südtirol, che dal 26 novembre coinvolge le cinque cittadine dolomitiche legate a questa storica tradizione. Bolzano, Merano, Bressanone, Brunico e Vipiteno, diventano le tappe di un suggestivo viaggio alla riscoperta dell'originario spirito natalizio con le sue tradizioni tipicamente alpine.
Dal Calendario dell'Avvento (dal primo al 25 dicembre), dove ogni finestrella viene aperta con concerti di cori, spettacoli a tema e letture di fiabe, alla Festa di San Nicolò (6 dicembre) preceduta il giorno prima dalle scorribande dei terribili diavoletti Krampus, tenuti a bada dai sacchetti rossi pieni di dolci e frutti.
Ecco il mercatino.
A Bolzano. La porta delle Dolomiti, dal 26 novembre al 23 dicembre, si trasforma in una vera città del Natale. Piazza Walther, col suo monumento dedicato a Walther von der Vogelweide, viene invasa da un esercito di 80 tradizionali casette a forma di baita di montagna, e il centro storico diventa il Mercatino dell'Artigianato e della Solidarietà (con gli oggetti presentati da varie associazioni onlus). E' qui che si possono scoprire gli oggetti di antica produzione locale, secondo un ferreo regolamento: dalle statuette in legno alle decorazioni, dai dolci tradizionali agli accessori d'abbigliamento (pantofole e cappelli), dalla cartoleria, ai piccoli strumenti musicali e candele decorate.
Ghiottonerie. Alla gastronomia capitanata dagli spicchi di Strudel, si aggiungono i divertimenti per i bambini tra il viaggio sul trenino elettrico, le giostrine, lo show di marionette, e la passeggiata in carrozza per le vie del centro storico. Non mancano le novità, come la baita riservata a forno a legna in vecchio stile dove esperti fornai lavoreranno le pastelle per ricavare il pane di antica tradizione tirolese, come il il più curioso, lo Schuettelbrot gustato soprattutto con lo Speck. Altra piccola novità, un presepe in fedele versione rustica alpina con la Sacra Famiglia dentro una di montagna.
I mercatini in Italia
Il tour dei mercatini. E' possibile effettuare il tour dei Mercatini originali dell'Alto Adige, attraverso un percorso suggestivo delle"cinque stelle”, lungo 135 chilometri, magari da gustarsi con il nuovo treno panoramico dell'Alto Adige, tipico di un viaggio "slow & cheap" (suggerita la mobilcard che consente l'utilizzo gratis dei mezzi pubblici da 3 a 7 giorni, acquistabile nella zona di vacanza scelta, www.mobilcard.info).
Merano. Con le sue famose terme, abbina la scoperta delle bancarelle con le loro pregiate produzioni artigianali dal 27 novembre 2009 al 6 gennaio, al piacere del benessere termale. Vipiteno, col suo medievale centro storico dominato dall'alta Torre delle Dodici, sfoggia dal 27 novembre al 6 grnnaio, un mercatino ricco di sorprese gastronomiche tra Zelten con canditi, e strudel di mele.
lunedì 16 novembre 2009
Letteratura come educazione al sapere
di Azzurra Pitruzzella step1, 15 Nov. 2009
“La passione predominante” è l’ultimo libro di Giulio Ferroni, presentato presso l’auditorium dei Benedettini. Letteratura come stimolo alla conoscenza ed educazione critica al sapere, questo il tema trattato dall’autore
"Non un altarino privato della memoria ma espressione di un valore più generale”. Con queste parole Nunzio Zago, docente della facoltà di Lingue e letterature straniere di Catania, introduce l’ultimo lavoro di Giulio Ferroni, critico militante e ordinario di letteratura presso l’Università “La Sapienza” di Roma. “La passione predominante”, questo il titolo del libro presentato giovedì 12 novembre presso l’auditorium del Monastero dei Benedettini. A esporre riflessioni, angolature e contenuti del libro sono intervenuti i professori Antonio Di Grado e Fernando Gioviale, della facoltà di Lettere e filosofia, e la professoressa Rosa Maria Monastra, della facoltà di Lingue e letterature straniere.
Il libro è frutto di una riflessione dell’autore sulla passione che lo accompagna sin dall’infanzia, quella per la letteratura. L’occasione che lo ha spinto ad affrontare questo tema – racconta – è stata la proposta di Sergio Reyes di inserirlo all’interno della collana “Per passione” da lui progettata.
Il Professor Ferroni
“Il libro sollecita in chi lo legge immagini e ricordi come in una sorta di intrigante gioco di specchi”, commenta il professore Nunzio Zago. Il contesto è un momento storico difficile, ritrae un’Italia ricoperta di ferite, quelle dei due conflitti mondiali, il tutto proiettato in una prospettiva piccolo-borghese in cui i personaggi e gli oggetti più umili diventano eroi e gioielli di un mondo rigorosamente personale. Ma la vera protagonista del libro resta comunque la passione letteraria. “Passione precoce e assorbente che allevia le delusioni e le malinconie personali e politiche; passione che vaccina contro le rigide barriere accademiche”, così il professor Zago sottolinea l'intento dell’autore nel porre l’accento sul "grido di angoscia dalla letteratura contemporanea".
Il libro “suscita una memoria imprevedibile ed emozionante”, aggiunge il professore Antonio Di Grado. “E’ l’umiltà il valore dominante che si cela dietro ogni singolo avvenimento”, commenta poi. Sul fastidio dell’autore per lo “specialismo”, soprattutto accademico, e la conseguente necessità di un ritorno a un sapere enciclopedico dello studioso si sofferma invece il professore Fernando Gioviale.
La passione letteraria trasfigurata nella personalità dello stesso autore, è l’aspetto focalizzato dalla professoressa Rosa Maria Monasta secondo cui “risiede proprio nella passione la radice del malessere di Giulio Ferroni. Questa provoca poi nel lettore una cieca volontà di leggere tutti i libri, un desiderio smisurato, quasi demoniaco”.
“La letteratura e la cultura non devono essere esibizione”, sostiene infine l’autore, rievocando una forte esigenza di umiltà, quella stessa umiltà che suscita il senso di insufficienza necessario ad accendere la passione in ognuno di noi. “Bisogna essere educati a discriminare democraticamente. La cultura sta dentro un universo intasato e la letteratura deve saperci educare”, le parole dell’autore a chiudere l’incontro.
9 novembre 2009. Per celebrare il ventesimo anniversario dalla caduta del muro di Berlino pubblichiamo le parole tratte dal blog del cantautore catanese Cesare Basile, in un racconto di gioventù, amore, matrimonio, rock and roll e libertà
Mi ha svegliato la sete. Dopo non sono più riuscito a dormire. L’orologio sul cellulare segna le sei e mezza. Milano per strada è già in movimento. I tram. Le auto. Nessuna voce. Al mattino presto non si sentono le voci degli uomini a Milano. Solo le cose in movimento. La macchina ricomincia a battere e in lontananza l’eco di un martello su un tetto, da qualche parte.
Cesare Basile in concerto
Alla ricerca del sonno mi trovo piuttosto a giocare una partita coi ricordi che improvvisamente si mettono a rimbalzarmi nel cervello. E’ il festino dei blues. Quest’ora appartiene a loro. Piccoli e sguaiati spiritelli di vecchia compagnia. Mi portano in giro acquattati negli angoli di questa mansarda. Mio padre che mi aspetta alla stazione centrale di Milano, ventanni fa, era Settembre e faceva già freddo, era mattina presto. Io che ritorno da Berlino senza un soldo in tasca con il biglietto scroccato all’ambasciata Italiana. Mi sposo, gli dico, mi sposo con una ragazza di Berlino Est che vuole andarsene via da quel posto. L’ho sposata. Il Muro è caduto qualche mese dopo. L’unico matrimonio della mia vita si è consumato in un vecchio palazzo di Berlino Est insieme a gente che non avevo mai visto, come mia moglie del resto, conosciuta il giorno delle nozze. Mi aveva parlato di lei un’amica dell’Ovest. E io le avevo detto: certo che la sposo. Giovane, ubriaco e suonavo in una band di rock and roll. Non potevo non farlo. Avevo provato a incontrarla ma le guardie di frontiera mi avevano bloccato alla stazione della Friedrichstrasse, perquisito, trovato con in tasca una richiesta ufficiale di matrimonio con la mia firma. Dove hai conosciuto questa ragazza? Mi chiedono. A un concerto di Rod Stewart in Ungheria, rispondo. Sono rimasto chiuso in una stanza con tavolo e sedie bullonate al pavimento. Nudo e senza documenti. Ho preso due ceffoni e mi hanno rispedito indietro. Alla fine l’ho sposata. Ci eravamo scritti finte lettere d’amore per mesi a documentare la nostra relazione. La festa fu indimenticabile. Prenzlauerberg, Berlino Est, affogava nella birra. Sono tornato a trovare mia moglie il giorno dopo. Non potevo fermarmi a dormire, avevo un permesso per il matrimonio che scadeva a mezzanotte. Sono tornato il giorno dopo e l’ho trovata seduta sul tetto insieme a un paio di amiche. Che fate quassù? Le ho chiesto. Ci veniamo sempre quassù sui tetti, mi dice, da quassù il Muro non è così alto. Poi abbiamo fatto l’amore. Io stavo appena cominciando a capire cos’era tutta quella storia.
"Il pomodoro oggi si ritrova in ogni sugo, anche dove non c'entra nulla, come sul pesce o nel nero di seppia. Il pomodoro è il vero simbolo nazionale. Se un italiano ha una macchia sulla camicia, è una macchia di pomodoro". Lo afferma Beppe Severgnini, e infatti ha ragione, in cucina oltre alla pasta, il re è il pomodoro: sulla pizza, con le melanzane, nell'insalata, con la mozzarella... Originario dell'America Latina, fu per molto tempo coltivato a scopo ornamentale visto che si credeva non fosse commestibile.
Conserva di pomodoro
Con l'inizio del 900, iniziò la coltivazione intensiva assieme alla trasformazione e la conservazione industriale. Ormai chi immagina la vita senza i pomodori? Salsa di pomodoro: la ricetta 3 kg di pomodori perini 8 spicchi d'aglio 10 foglie di basilico 5 cucchiai di olio extra vergine d'oliva sale Lavate i perini e metteteli in acqua bollente per 5/8 minuti. Scolateli e levate loro la buccia. Tagliateli a pezzetti e metteteli a scolare per un'ora. Io non li passo e non tolgo i semini perché mi non mi piace molto la consistenza da conserva/passata di pomodoro. Scaldate l'olio e l'aglio in una grande pentola di acciaio e poi versate i pomodori. Coprite e lasciate cuocere a fuoco bassisimo (meglio ancora se avete un diffusore di calore) per almeno tre ore. Mescolate di quando in quando. Spegnete il fuoco, unite il basilico (qualche peproncino se vi piace), salate e lasciate lì per una notte. In questo modo la salsa, bella densa, si insaporirà per bene. Il giorno dopo riportate a bollore e invasate in barattoli caldi e precedentemente sterilizzate (capsule nuove mi raccomando). Girateli, dopo un'ora rimetteteli dritti e copriteli con un canovaccio o con una coperta ... dopo un po' sentirete il clic del sottovuoto. Se non vi fidate bollite i vasetti come si fa per le marmellate, ma l'acido naturale del pomodoro e la lunga cottura uccidono le spore del botulino.
Diffuso attraverso la rete Internet un video, che riprende l’esecuzione in diretta avvenuta nel quartiere Sanità di Napoli lo scorso 11 maggio 2009.
E’ stato ripreso da una telecamera l’omicidio avvenuto nel mese di maggio che vede coinvolto Mariano Bacio Terracino, fedelissimo rapinatore del clan Misso, accusato sia dell’omicidio di uno dei boss Moccia, che di una relazione con la moglie di un luogotenente di camorra. Questi, secondo gli inquirenti, le motivazioni che hanno spinto i mandanti a firmare la condanna a morte del Terracino, giustiziato con 3 colpi di pistola alla nuca ed alla testa, da un freddo ed esperto killer, che si dilegua immediatamente dopo l’esecuzione avvenuta in pieno giorno. Il video, finora a disposizione delle forze dell'ordine, è stato reso pubblico, assieme ad un appello dei carabinieri che chiedono, a tutti coloro sappiano qualcosa, di aiutare ad identificare i colpevoli. Come prevedibile il video in pochissime ore è già spopolato su siti come YouTube e Facebook. Consapevoli della forte omertà che aleggia a Napoli, gli investigatori sperano di trovare utili informazioni proprio sul social network, all’interno del quale utenti con nome fittizio, potrebbero rilasciare importanti informazioni che possano dare un’importante svolta alle indagini.
Le immagini sono durissime e abbiamo deciso di non mostrarle "in diretta". Potete vederle qui, con un commento di Roberto Saviano. Coraggio!
Dopo l'omaggio alla XXX Mostra del Cinema del Mediterrani a Valencia, vi proponiamo l'ultimo film di Giuseppe Tornatore, in proiezione in Italia da quasi un mese: “ Baarìa”, il nuovo film di Tornatore candidato all'Oscar riempie le sale cinematografiche ma divide critica e pubblico, “steppini” compresi. Dopo le perplessità, ecco gli elogi - Tra le tessere di Baarìa
C'è chi lo ha definito il nuovo capolavoro di Tornatore. C'è chi, invece, si aspettava di più, pur chiarendo che i brutti film sono senz'altro altri. C'è chi ne ha evidenziato la raffinata capacità evocativa e chi è rimasto deluso da una trama definita “abbozzata” e poco coinvolgente. Sta di fatto che Baarìa non è di certo passato inosservato. E per verificarlo basta cliccare su un qualsiasi motore di ricerca, che in pochi secondi visualizzerà una miriade di recensioni.
“Baarìa” è l'antico nome fenicio della città siciliana di Bagarìa o, per dirla alla Tornatore, «Baaria è un suono antico, una formula magica, una chiave. La sola in grado di aprire lo scrigno arruginito in cui si nasconde il mio film più personale». Lo stesso film con cui il regista ha voluto omaggiare la sua terra natìa. Una scelta che sembra fatalisticamente contenuta nello stesso cognome del regista, che quasi allude all'ineluttabilità del “tornare” alle radici.
Giuseppe Tornatore
Come ben sanno coloro che cresciuti in un piccolo borgo, raccontare un paese altro non significa che raccontare una strada: il corso principale. «Percorrendolo avanti ed indietro per anni, puoi imparare ciò che il mondo intero non saprà mai insegnarti», ha dichiarato lo stesso Tornatore.
Che sia questo che i critici più critici non hanno colto? Perché non sembra affatto che il regista voglia raccontare il decennio fascista, né il fermento del '68 in Sicilia. Tornatore mette in scena Baarìa, la sua trasformazione, il suo divenire nel tempo come fosse un essere in carne ed ossa. Tornatore ambienta, contestualizza, dimensiona; dice tutto ma non racconta niente. E questo giustifica le sue scelte, ad esempio quella di servirsi - per il ruolo di protagonisti - di due attori cinematograficamente sconosciuti, ma in grado di parlare il dialetto. O quella di impiegare il cast più popolare (da Roul Bova a Leo Gullotta, da Monica Bellucci a Beppe Fiorello, da Vincenzo Salemme ai comici Ficarra e Picone) per i ruoli minori: le innumerevoli voci del paese.
A Baarìa, Peppino (Francesco Scianna) e Mannina (Margareth Madè) si amano. Non come si ama oggi; bensì come solo allora si poteva fare: senza grandi promesse e con poche parole, che forse poi è l'unico modo di amare davvero. Si amano tanto da “sfidare” l'ostilità della famiglia di lei, non proprio lusingata dal dover concedere la propria figlia ad un “pecoraro”, vale a dire ad un pastore. Uniti in matrimonio, Peppino e Mannina non esitano ad allargare la famiglia, generando una prole numerosa: la terza generazione del film. La difficoltà di sbarcare il lunario, però, non impedisce a Peppino di coltivare le sue velleità politiche e di militare nel partito comunista, nella speranza di ricoprire finalmente un ruolo di sostanza.
Intorno a questa vicenda familiare Tornatore costruisce un mondo pittoresco, poetico proprio perchè realmente esistito. Non occorre molta fantasia, infatti, perché Baarìa diventi qualunque altro paese della Sicilia antica, nel quale ritrovare quel mondo tante volte “ascoltato” nei racconti di chi c'era, quasi fino ad incontrarvi quel nonno mai conosciuto.
Un film che non rivela nuove grandi verità, ma che ne recupera di piccole dal passato, raccontando di quando la politica si faceva ancora in piazza - e non a “Porta a porta” - di quando Mina riuniva in casa le famiglie e di quando votare a sinistra conteneva ancora la certezza di schierarsi politicamente contro la mafia. Eppure Tornatore un piccolo parallelismo con la Sicilia di oggi l'ha concesso. La scena di riferimento è quella degli americani giunti a liberarci dal fascismo, predisposti ad imparare il dialetto anzicchè l'italiano. E'quanto tutt'oggi accade alle badanti dell'Est giunte ad accudire i nostri anziani. Se non ci credete, provate a chiedere loro cosa significa “cipudda”!
Riprendiamo da Repubblica Palermo la recensione del libro "Potere di Link" di Rosa Maria Di Natale. Il volume sarà presentato a Catania il prossimo 18 gennaio
Dal tempo lungo - spazio dilatato dove azione e pensiero trovavano il loro percorso che lentamente portava lontano - si è passati al tempo supersonico, quello che ci bracca in un tourbillon irrefrenabile. Una sorta di reazione a catena di mutamenti. Un frullatore dove vengono shakerate scoperte di ogni specie. Per fare un esempio calzante: ci sono voluti cinque secoli affinché l´innovazione di Gutenberg - che, attenzione, non ha inventato la stampa come schematicamente si scrive, ma i caratteri mobili singoli - dispiegasse a pieno le sue potenzialità; oggi ci vuole un attimo per creare valore aggiunto nel variegato universo dei supporti informatici. Una invenzione dopo l´altra in un infinito divenire. Questa affascinante e complessa galassia virtuale-reale è stata esplorata dalla giornalista Rosa Maria Di Natale, docente a contratto presso l´Università di Catania nel saggio "Potere di link"; sottotitolo: "Scritture e letture dalla carta ai nuovi media".
La macchina a stampa di Gutenberg
Il libro chiuso di un tempo lascia il posto al libro aperto, a quell'opera collettiva che rimbalza freneticamente da un punto all´altro, da un uomo all´altro, coinvolgendo milioni di siti, miliardi di persone. Ormai nulla è mai definitivo. Un messaggio subito dopo l´immissione nel circuito viene aggredito, disossato, trasformato, ritorna al mittente con connotati modificati, per ripartire carico di altri contenuti. Questo in un flash e per infinite volte. Un montaggio e smontaggio continuo che lascia una scia di significati e di significanti.
La parola attraversa sabbie mobili in cui affonda, nuota, affiora, inabissa e riaffiora. L´autrice comunque facendo sue le teorie di Roger Fidler è convinta che in questa "mediamorfosi" «la quasi totalità dei cambiamenti continuerà a racchiudere in sé le esperienze del passato». Sicché il vecchio libro sopravviverà a questi assalti del web, ritagliandosi un suo spazio nei tre domini: broadcast (radio, televisione, convegenza web-tv), documenti (stampa, editoria, pagine web), comunicazione interpersonale. Ogni medium, infatti, non sorge dal nulla, ma affiora gradualmente dalla trasformazione del medium precedente. Solo che prima ciò accadeva nel tempo lungo, oggi nel tempo accelerato. «Lo sviluppo dell´editoria elettronica - scrive Fidler in "Mediamorfosi. Comprendere i nuovi media" - non dovrebbe essere interpretato come un segnale premonitore della fine dei media a stampa. Al contrario suggerisce che la stampa può trasformarsi in uno strumento ancora più versatile e popolare di comunicazione per il prossimo millennio».
Sembrerebbe una certezza quanto meno avventata l´assunto di Fidler, ma diventa più comprensibile con l´articolazione del suo pensiero: «Questa ipotesi di lavoro richiede però di accettare fino in fondo la visione secondo la quale i media a stampa non debbano più dipendere dall´inchiostro, dalla carta e dalle presse per continuare il loro percorso evolutivo». Chi vivrà vedrà.
Ci sono sembrati particolarmente interessanti due capitoli del libro. In uno si ribadisce l´influenza dei media non solo sulla problematica e sulle tecniche della comunicazione, ma sulla nostra vita tout court, sugli influssi diretti nel condizionamento del pensiero e dei comportamenti quotidiani. Nell´altro si rende merito agli scrittori che a livello istintivo hanno capito ai primi segnali la portata della valanga in arrivo: Celati, Tondelli, Ballard, Kundera, De Lillo, Cortazàr e Calvino. Di quest´ultimo viene opportunamente ricordato il decalogo della buona letteratura, cioè leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità.
La parola è...
La prefazione al libro è stata scritta da Enrico Escher, giornalista e studioso dei nuovi media, prematuramente scomparso. Di lui vogliamo ricordare una frase: «Libro di uno, libro di tutti, senza per questo perdere, il valore della sua "unicità"».
Lunedì, 19 ottobre, ore 18.00, Sala de Juntas, Filologia: Presentazione e proiezione del film Galileo, di Liliana Cavani, incentrato sulla figura del grande scienziato italiano
Martedì, 20 ottobre, ore 18.00, Sala de Juntas, Filologia: Presentazione e proiezione del film I colori dell’anima, di Andy Garcia, che rappresenta la vita del famoso pittore italiano Amedeo Modigliani
Mercoledì, 21 ottobre, ore 12.00, aula 401, Filologia: Conferenza su Leonardo da Vinci, tenuta dal Professor Alessandro Castro, dal titolo Il Codice Romanoff di Leonardo da Vinci.
Mercoledì, 21 ottobre, ore 18.00, Sala de Juntas, Filologia: Presentazione e proiezione della pellicola Il mago delle onde, di Alessandro Giupponi, documentario sull’inventore della radio, Guglielmo Marconi
La manifestazione nazionale per la libertà di stampa si terrà a Roma il 3 ottobre. Un segno di vitalità, un’occasione per capire che i diritti vanno continuamente difesi e protetti. Ma questo messaggio arriverà ai ragazzi di 18 o 20 anni?
Per sabato 3 ottobre, per la manifestazione sulla libertà di stampa, siamo milioni a pensare: finalmente!
Finalmente un segno di vitalità da parte di un paese che sembrava narcotizzato, di giornalisti che - con poche eccezioni - parevano tramortiti.
Perché le involuzioni autocratiche possano verificarsi c’è bisogno almeno di due cose: una classe politica di governo con queste vocazioni, e un’opinione pubblica addormentata o connivente.
Finalmente una reazione al delirio arrogante del potere, alla pirateria politica, all’annullamento (e autoannullamento) delle opposizioni, allo stravolgimento delle regole e al traballare delle istituzioni. Speriamo che ne seguano altre: ad esempio rispetto alla plutocrazia; o all’analfabetismo e all’incultura cui si vogliono consegnare le generazioni giovani; o al disastro cui è già consegnato il loro futuro lavorativo.
Non è facile spiegare che tutto questo si tiene, e che tutto questo ha un rapporto strettissimo con quel diritto che in democrazia è fondamentale per ogni cittadino: essere informato correttamente da una stampa libera, per poter oculatamente ragionare e scegliere.
Come accade per molti altri diritti, abbiamo sbagliato a crederlo conquistato una volta per tutte: va continuamente vissuto, affermato, difeso, protetto. Perderlo è stato molto più facile di quanto non pensassimo.
Il modo più tragico e definitivo di perderlo è non accorgersene: essere socializzati in un mondo in cui esso è considerato irrilevante. Per questo mi sta particolarmente a cuore lo sguardo di chi ha vissuto la maggior parte della sua vita in regime berlusconiano.
Ho difficoltà sempre crescenti a spiegare agli studenti diciotto/ventenni di Sociologia della comunicazione che il cuore del nostro tema, e dunque il centro del loro studio non è l’appeal carismatico di questo o quel leader, non la capacità di una faccia di “bucare lo schermo” o di una voce di vendere bene la propria merce, ma la possibilità offerta dal sistema mediatico di assistere a rappresentazioni variegate e non mutilate della realtà, a opinioni differenti e non addomesticate sui problemi. La sua attitudine a formare alla complessità del mondo.
Dal mio osservatorio imputo alla cultura dominante un delitto grave, che ha visto moltissime complicità: di aver imposto lo stravolgimento del ruolo dei media, e la confusione tra comunicazione e pubblicità (tra visibilità e autorealizzazione?).
Sarà forse questo il colpevole?
I miei studenti sono figli di questa cultura, la ritengono l’unica concepibile. I miei studenti non leggono i giornali, al massimo scorrono dei titoli sul web. Guardano molta televisione, ma tra loro il 90% segue i reality anche più trucidi; il 9% ha visto Report almeno una volta.
Se quel 9% sarà a Roma il 3 ottobre, forse potremo risalire la china.
*ordinario di Sociologia della comunicazioe alla Facoltà di Scienze Politiche di Catania
Venerdì scorso per le strade di Catania «Una giornata particolare». Una serie di flash mob contro la violenza omofoba che dilaga in Italia e, nel pomeriggio, un lungo bacio in piazza Stesicoro
“Lottiamo insieme, insieme si può”: questo uno degli slogan ripetuti durante la giornata di mobilitazione contro l’omofobia e la transfobia, battezzata “Una giornata particolare”, e tenutasi il venerdì scorso a Catania.
«L’organizzazione di questa giornata nasce dalla necessità di reagire agli ultimi attacchi contro gli omosessuali. Oggi diciamo no al clima di omofobia e transfobia che si respira in questi ultimi tempi; se si considera che i crimini commessi nei primi otto mesi del 2009 superano tutti quelli commessi nell’intero 2008, diventa evidente una recrudescenza degli atti di violenza». Queste le parole di uno degli organizzatori dell’evento, Dario Accolla, il quale ha tenuto a precisare, anche, che «il diritto degli omosessuali è il diritto di tutti; ciò che rivendichiamo non è una questione che riguarda solo noi omosessuali, ma deve diventare patrimonio civile e culturale per tutti, a prescindere dalle personali tendenze sessuali».
Quali le richieste delle associazioni siciliane contro l’omofobia e la transfobia, che hanno organizzato e partecipato attivamente alla manifestazione? «Sono tre richieste, e non si tratta di privilegi, che potrebbero salvare la vita di molti omosessuali e renderne la giusta dignità», afferma Dario Accolla. «Non sono richieste che abbiamo tirato fuori dal cappello all’improvviso, ma che si rifanno al dettato costituzionale, che non nega i nostri diritti all’interno del Diritto europeo».
Primo, l’estensione della legge Mancino ai reati dovuti all’intolleranza verso omosessuali e transessuale e relativa all’identità di genere. Secondo, l’accesso all’istituto del matrimonio civile. Terzo, la concessione del diritto di adozione alle coppie omosessuali.
La manifestazione, che si è svolta prima in Piazza Verga e poi si è spostata in Via Etnea, ha visto l’esecuzione collettiva di una morte simulata, un flash mob durante il i partecipanti, al suono di un fischietto, si sono gettati in terra, mentre uno di loro, Giuseppe Calcagno, con un megafono, ha elencato alcuni degli atti omofobici recentemente commessi in Italia. L’azione si è ripetuta due volte e in entrambe ha destato la curiosità dei passanti, incentivando la volontà dei partecipanti di manifestare e manifestarsi, perché «solo vedendoci e vivendoci la gente può riconoscerci e capire», dice Alessandra Fasanaro.
Angela Gentile, membro dell’Associazione “Kalon Glbte”, rialzandosi e riprendendosi dalla finta morte, ha dichiarato: «Vogliamo fare sentire la nostra voce, per combattere le aggressioni. Ad agosto ce ne sono state ben quindici e tutte hanno riguardato grandi città italiane, dalle quali ci si aspetterebbe una maggiore apertura mentale verso certi temi. Siamo stanchi di vedere che gli omosessuali non vengono ritenuti cittadini a tutti gli effetti». Poi, smessi per un attimo i panni di attivista dell’Associazione, Angela si lascia andare a qualche confidenza: «I miei genitori sanno che sono omosessuale, non me ne sono mai vergognata, perché questa è la mia vita, la mia normalità, e, di questo, loro sono fieri e orgogliosi».
A sottolineare che i diritti dei gay sono i diritti di tutti c’è la natura stessa di alcune associazioni, che non si preoccupano solo degli omosessuali, ma anche di tutte quelle persone considerate socialmente esposte all’abbandono e al disagio, come gli immigrati, i barboni e, spesso, anche le donne. Anna Di Salvo, dell’Associazione “Città Felice”, dichiara, con orgoglio, di occuparsi soprattutto di donne, «della bellezza delle donne che si amano».
Nella seconda parte della giornata l’evento si è spostato in Piazza Stesicoro, dove sono stati allestiti diversi banchetti espositivi da parte delle associazioni presenti ed è stato esposto un prodotto editoriale “fatto in casa” ma molto esplicativo, dal titolo “La gazzetta dell’omofobo, Pregiudizio editore”, consistente in una raccolta di affermazioni omofobe di alcune figure politiche nazionali. Presente anche Sara Crescimone, dell’ “Open Mind Glbt” Catania, che ha dichiarato: «E’ un momento di emergenza a causa della violenza e dell’impunità dilaganti; per questo è necessaria l’estensione della legge Mancino. Non chiediamo privilegi, ma solo la tutela delle nostre vite. Il governo non dica a noi come amare; la stessa cura dei figli non dipende dall’orientamento sessuale, specialmente se si pensa che i reati più crudeli commessi sui minori avvengono proprio all’interno di famiglie eterosessuali».
L’evento è proseguito con un ennesimo giro di flash mob, durante il quale i “caduti a morte”, stavolta, si sono abbandonati sulla bandiera della pace, spiegata sul suolo della piazza, e con la proiezione di videoclip, alcuni ironici, altri realistici e, per questo, più crudi, ma tutti carichi di speranza e voglia di fare, di andare avanti in questa lotta contro il sistema. Ma ecco che viene trasmessa l’esperienza raccontata, di Andrea Nucifora, membro dell’Arcigay, chiamato a lavorare per la “Lithuanian Gay Leaugue”, l’unica associazione ad occuparsi dei diritti dei gay in Lituania. Diverse le difficoltà incontrate durante la sua esperienza lavorativa in Lituania, a causa di una rigidità assoluta verso l’argomento e una violenza inaudita verso qualunque forma di espressione da parte della comunità gay. Facendo un bilancio, Andrea Nucifora dice: «Ho vissuto uno shock culturale, sentivo di non poter fare, mi è mancata la Sicilia, dove, nonostante tutto, c’è più tranquillità. Lì ho rivissuto i miei 16 anni, quando in famiglia nascondevo la mia omosessualità». E prosegue: «tuttavia ho imparato tanto e mi sono reso conto che c’è molto da fare. E non parlo da membro dell’Arcigay, ma da persona che vuole vivere con naturalezza i suoi rapporti. Se c’è tanto clamore intorno a questa realtà un motivo deve pur esserci; non può essere una paranoia collettiva».
Ma ad attirare l’attenzione di passanti e curiosi hanno provveduto la finta impiccagione di Alessandra Fasanaro, membro dell’Associazione “Kalon Glbte”, marchiata con la scritta “condannata a morte perché lesbica” sul petto. E soprattutto il kiss mob, forse, il momento più emblematico di tutta la giornata. Sulle note di “I gotta feeling” dei Black Eyde Peas, dopo l’ormai noto segnale di richiamo, le coppie presenti si sono baciate all’unisono, fino all’arrivo di un altro fischio che le ha stoppate.
Inevitabile chiedere un commento a caldo ad una delle coppie che aveva appena partecipato al kiss mob. La domanda è “come è stato”? Marco Salanitri, ancora un po’ “provato”, dice: «Mah…è stato un po’ imbarazzante, mi sentivo addosso gli occhi di tutti; però è stato bello»; meno pudico e più spontaneo il suo compagno, Alessandro Motta, che dichiara: «Nessun imbarazzo; è una cosa naturale, nella quale mi sento bene, completamente a mio agio; è stato bello e quasi liberatorio».
E così, sul ricordo di un catartico bacio collettivo, dal retrogusto amaro di protesta, si è conclusa la “giornata particolare”. Una giornata che porta con sé importanti aspettative e una buona dose di speranza.
Sotto riproduciamo un articolo di Juan Arias pubblicato sul giornale EL PAÍS. Anche se in lingua spagnola e un po' lungo per il nostro formato, pensiamo che meriti esser letto da tutti i magnabloggher.
Un país que fue bandera de libertad y cultura es presidido hoy por un político que censura la información que no le interesa. ¿Qué le ha pasado a Italia? ¿Por qué es tan difícil de reconocer para quienes la aman?
Viví en Italia más que en España: cerca de 50 años. A ese país, que reúne el 36% del arte del planeta según la Unesco, le debo mucho humana y culturalmente. En Italia, donde hice mis estudios, donde respiré por primera vez los aires puros de la libertad -llegado muy joven desde el país de las censuras, de las condenas a muerte arbitrarias, de la inexistencia de partidos políticos-, me dieron la nacionalidad por méritos culturales. Allí voté por primera vez en mi vida. Tenía ya más de 40 años. En España no se votaba, sólo se vivía el terror.
Recordaré siempre aquella mañana en que, por fin, pude introducir mi papeleta en el secreto de una urna. Mi voto, me dijeron, valió miles. Eran unas elecciones en las que los italianos empezaban a cansarse de los políticos, lo que incitaba a no votar. La RAI me entrevistó preguntándome qué sentía un español que podía votar por primera vez. Hablé de mi evidente emoción y me atreví a pedir a los que estaban pensando en no acudir a la cita con las urnas que lo hicieran para resarcir mi pena de no haber podido votar en tantos años. Me llamaron después de la radio para decirme que miles de personas, incluso algunas familias enteras, querían que yo supiera que habían ido a votar por mí.
Italia malata
En Italia pude publicar lo que no podía publicar en mi país. Me abrieron las puertas sus revistas y periódicos. Gocé del privilegio de conocer, tratar y entrevistar a los personajes de la literatura y del arte que hicieron grande en aquel momento al país de Dante y de Leonardo, gente como Fellini, Passolini, Sciascia, Italo Calvino; a estilistas como Valentino, Armani, Missoni; a grandes empresarios como Agnelli o Pirelli; a magníficos editores como Einaudi o Feltrinelli... Y hasta a políticos dignos como Berlinguer o Moro o jueces valientes como Falcone, con quien conversé meses antes de ser asesinado. En mi encuentro con el juez Falcone nos rodeaba una nube de policías armados hasta los dientes y de sirenas desplegadas. "Es todo teatro. Cuando la Mafia lo decida, me matarán igualmente", me dijo el magistrado despidiéndose con una media sonrisa triste. Lo mataron.
Era aquella una Italia que yo amaba apasionadamente y en cuya lengua escribí mis primeros libros. Hasta que llegó Silvio Berlusconi. Lo vi aterrizar en Palermo, capital de Sicilia, corazón de la Mafia, en helicóptero, como un dios pagano. Eran sus primeras elecciones. Pocos creían que aquel histrión, que nunca había estado en la política, en un país tan politizado como lo era Italia, podría ganar. Yo pronostiqué en el periódico que ganaría. Vi aquella mañana en Palermo a casi medio millón de personas levantando los brazos hacia el helicóptero que traía al Salvador.
La Mafia siciliana había cambiado de bandera. Acababa de abandonar a la poderosa Democracia Cristiana, hasta entonces su señora, para ofrecerle el beso y sus votos al empresario del que decían que tenía el arte mágico de crear empleos de la nada. Italia aquel día empezó a entrar en el túnel de la degeneración. Yo me volví a España.
Ahora veo, como en una pesadilla, que los italianos, que a mí me habían otorgado el placer de la libertad de información y expresión, tienen que leer EL PAÍS para poder saber las desvergüenzas cometidas por su Cavaliere. ¿Dónde quedó aquella Italia a la que el mundo amaba y admiraba?
Italia me defendió cuando uno de los Gobiernos de Franco intentó procesarme por un artículo publicado sobre el comportamiento de la Iglesia española durante la dictadura militar. Me convocaron a Madrid. Me recibió el entonces ministro Girón. En su casa. Me contó que un ministro llevó mi artículo a un Consejo de Ministros pidiendo mi cabeza. Franco se limitó al final del Consejo a llamar al ministro Girón y le dijo: "Dejen a ese chico, porque si no lo van a hacer un mártir en Italia. Pero llámele y cuéntele". Era un aviso claramente mafioso. Así era entonces España. Así es hoy, o casi, Italia.
En mis noches sin sueño, me pregunto cómo pudo haberse llevado a cabo tal metamorfosis. Cómo se llegó a esta mi triste Italia actual. Sólo puedo hacerme algunas preguntas tras mi larga experiencia italiana. ¿Por qué ganó Berlusconi por primera vez, cuando ya circulaba un libro sobre sus fechorías e ilegalidades como empresario de la construcción en Milán? ¿Por qué los socialistas de Bettino Craxi, que acabó muriendo en el exilio, buscado por corrupción, cuando llegaron al poder le permitieron a Berlusconi crear su imperio televisivo contra todas las normas de la Constitución? ¿Qué hicieron, o no hicieron, los comunistas, herederos del severo y honrado Berlinguer, cuando después de más de 40 años luchando para llegar al poder lo consiguieron y actuaron tan mal que los italianos volvieron a llamar a Berlusconi? ¿En qué defraudaron a los italianos? ¿Por qué perdieron tan pronto las esencias del que había sido el mayor partido comunista de Europa, el del Eurocomunismo, y que reunía bajo sus alas y protegía de la mediocridad de la derecha a toda la inteligencia, todo el arte y toda la cultura del país? Un partido, insisto, que tenía como líder a un Berlinguer siempre tímido y escondido, como legítimo hijo de la austera Cerdeña, pero recto, digno y tan amado que el día de su muerte se paralizó la ciudad de Roma y dos millones de personas se volcaron en las calles como si su selección nacional hubiera ganado un mundial de fútbol.
Fui en aquella época un crítico severo de la entonces poderosa Democracia Cristiana, que llevaba 40 años en el poder y que acabó barrida al pagar sus escándalos de corrupción. Hoy, a tantos años de distancia, tengo que reconocer que lo que vino después fue peor. Está a la vista de todos. La Democracia Cristiana, profundamente conservadora, poseía, sin embargo, un profundo respeto por la libertad de expresión de los periodistas. Conservo aún algunos tarjetones escritos con la letra grande de Fanfani y la menuda de Andreotti, ambos repetidas veces presidentes del Gobierno. Cada vez que publicaba un artículo crítico sobre uno u otro, llegaba a mi oficina en Roma un motorista llevándome uno de esos tarjetones, en los que me agradecían el haber escrito sobre ellos.
Cuando España estaba para entrar en la Unión Europea, el ministro de Asuntos Exteriores de Italia era Andreotti. En la Embajada de Italia en Madrid, alguien más papista que el Papa decidió hacer un estudio de mis crónicas, concluyendo que era excesivamente crítico con los políticos italianos. Llamaron al embajador de España en Roma y, con evidente cuño mafioso, le recordaron que Italia era fundamental para que España entrara en la Comunidad Europea y que no les gustaban mis crónicas.
La noticia llegó a los oídos de Andreotti, que ignoraba el hecho. Aquella mañana, me llamó para ofrecerme una entrevista. Me recibió con los brazos abiertos. No se habló del asunto suscitado por la Embajada italiana en Madrid. Me contó anécdotas inéditas de sus relaciones con el entonces papa Juan Pablo II. Me dijo que el Papa polaco lo invitaba a veces a comer o a cenar con él y hasta a asistir a la misa en su capilla privada. Antes de despedirme, me autografió un libro con estas palabras: "A mi querido colega periodista Juan Arias, con amistad". Andreotti se jactaba siempre de ser periodista de profesión. Ya en la puerta me dijo: "España va a ser muy importante en la Comunidad Europea. Yo la voy a apoyar". Lo hizo.
Andreotti, no obstante, solía decir que a los políticos españoles les faltaba finezza. Tristemente, esa finezza a quienes les falta hoy es a tantos políticos italianos, empezando por su presidente y su corte faraónica, que tienen horror y pánico de la información libre.
Quizá no sea verdad que a los italianos les guste tanto Berlusconi -no por lo menos a los italianos que yo conozco-, quizá es que tampoco les gustan demasiado los otros políticos. A esos otros, yo les di el primer voto de mi vida. Cosa triste, como diría Saramago.
In occasione della IX Edizione della "Settimana della lingua italiana nel mondo" (19 - 25 ottobre 2009)promossa dal Ministero degli Affari Esteri viene indetto il Concorso letterario “Scrivi con me” rivolto agli studenti italiani e stranieri di istituzioni scolasticheitaliane all'estero. Il concorso prevede che gli studenti completino un racconto dello scrittore italiano Roberto Alajmo, il cui testo è presenteto senza la parte conclusiva. Gli elaborati giudicati migliori saranno premiati con materiali bibliografici o audiovisivi.
Roberto Alajmo
REGOLAMENTO
1.Il concorso è riservato agli studenti italianie stranieri frequentantiscuole secondarie superiori italiane all'estero, "sezioni italiane " istituite presso Scuole Europee o scuole straniere secondarie superiori e studenti frequentanti i corsi di lingua italiana ex lege 153/71 esclusivamente a livello di biennio della scuola secondaria di secondo grado.
2.Ogni concorrente dovrà redigere una personale conclusione del racconto inedito di Roberto Alajmointitolato “La fuga di Nardino”. L'elaborato dovrà essere composto in lingua italiana e dovrà essere redatto secondo il modello (carattere, grandezza, incolonnamento, numero di righe per cartella) scelto dallo scrittore, inoltre non dovrà superare la lunghezza di due cartelle.
3.Ogni testo dovrà essere firmato dall’autore edaccompagnato dai suoi dati personali inseriti in un apposito spazio, come da casella di testo inserita al termine del racconto (allegato 2 - nome e cognome, data e luogo di nascita, classe frequentata, nome scuola, città, nazione). Inoltre dovrà essere allegata l'autorizzazione per l'eventuale pubblicazione del testo prodotto, direttamente firmata dall'autore, se maggiorenne, oppure, se di minore età, da uno dei due genitori, o comunque da chi esercita la patria potestà ( vedi modelli in allegato 3 e 4).
4.Gli elaborati dovranno essere svolti nelle Istituzioni scolastiche interessate entro
Il 9 giugno 2009.
Presso ogni istituzione scolastica sarà costituita una commissione che selezionerà il testo giudicato migliore e lo farà pervenire (con anticipazione via e.mail) entro il 26 giugno 2009 all’Ufficio Consolare.
In Italia i testi verranno esaminati da una commissione di specialisti istituita a Roma presso il Ministero degli Affari Esteri, presieduta dallo scrittore, e composta da rappresentanti delle istituzioni che promuovono l'iniziativa della Settimana della lingua italiana.
5.Gli studenti delle scuole, autori dei sei migliori elaborati, riceveranno strumenti bibliografici ed audiovisivi anche in formato digitale su temi della letteratura e cultura italiana.
6.Gli studenti secondi classificati (sei complessivi) riceveranno anch’essi in premio alcuni strumenti bibliografici ed audiovisivi.
7.I nomi dei vincitori saranno resi noti dall’autore nel corso delle manifestazioni che si terranno dal 19 al 25 ottobre 2009 per la IX edizionedella“Settimana della lingua italiana nel mondo”.
8.I testi presentati al concorso resteranno a completa disposizione della organizzazione e non verranno restituiti.
9.Il Ministero degli Affari Esteri si riserva il diritto di far pubblicare una selezione dei testi premiati.
10.I concorrenti dovranno accettare senza condizioni il presente regolamento.
11.Per eventuali aspetti organizzativi non previsti dal presente regolamento, provvederà alle necessarie operazioni e decisioni la segreteria del concorso istituita presso il Ministero degli Affari Esteri.
I giudizi della commissione che selezionerà gli scritti sono insindacabili.
Ecco il racconto: La fuga di nardino.
Era un bambino molto solo: non aveva amici. Era un bambino molto introverso: aveva non uno, ma addirittura due amici immaginari. Si era inventato il primo, ma questo amico immaginario si annoiava a giocare con lui, allora si era a sua volta inventato un amico immaginario. Così i due amici immaginari si mettevano a giocare per i fatti loro, e ogni volta lo escludevano.
Leonardo, detto da sua madre Nardino, aspirava per la verità a farsi chiamare Leo. Ma nessuno lo chiamava così, anche perché del leone non aveva nulla. Era molto timido, anzi, e per nulla aggressivo. Parlava sempre a bassa voce e se gli chiedevano di ripetere ciò che aveva detto, era capace di restarsene zitto anche per delle mezz’ore.
Passava il suo tempo in casa, guardando i due amici immaginari che si divertivano fra loro. Ogni tanto provava a inserirsi nei loro giochi infilando una frase, ma quelli lo ignoravano e proseguivano imperterriti. Aveva come l’impressione che quei due lo considerassero un secchione. Uno sfigato, insomma.
Solo di rado usciva nell’aia del casolare alle porte del paese, dove viveva assieme alla madre. Il suo signor padre veniva a trovarlo un giorno sì e uno no. Viveva e dormiva altrove, in una casa che Nardino non aveva mai visto. Faceva il notaio: una volta se l’era preso sulle ginocchia e gli aveva spiegato in cosa consisteva il lavoro del notaio, ma Nardino, che pure era parecchio intelligente, non era riuscito a capirlo.
A quattro anni certe cose non si arrivano a capire; semmai si intuiscono. Nardino per esempio intuiva che c’era una tensione intermittente fra i suoi genitori. Certe volte quando il signor padre veniva a casa, lei gli voltava le spalle e restava così per tutto il tempo della visita. I primi tempi era lo stesso Nardino che corricchiando da un genitore all’altro si sforzava di fare da ponte fra i due. Ma crescendo aveva imparato che era inutile, ogni tentativo risultava frustrante e la tensione restava nell’aria per tutto il tempo della visita paterna.
Negli ultimi mesi si era convinto che il piacere di abbracciare il suo signor padre non valeva la pena di quel silenzio teso che si creava in casa, per cui aveva maturato un sentimento di cui si vergognava: avrebbe preferito che il signor padre non venisse affatto. L’ideale sarebbe stato vederlo da qualche altra parte, lontano dalla madre e dalle tensioni. Ma era troppo timido per confessare al padre anche solo il desiderio di fare ogni tanto una passeggiata con lui. Un desiderio frutto della combinazione fra due sentimenti diversi: uscire da casa ed esplorare il mondo.
Malgrado i quattro anni, avvertiva un imprecisato desiderio di conoscere l’universo che si trovava fuori dai confini del giardino di casa. Ne intuiva la vastità, capiva che non era alla sua portata, e tutto ciò si traduceva in un ulteriore giro di introversione.
- Che hai, Nardino? Che ti piglia?
La madre si accorgeva della malinconia del figlio e se ne dispiaceva. Ogni tanto cercava di cavargli qualche parola, ma con scarsi risultati. Lui se ne stava zitto a oltranza, e lei aveva troppe faccende da sbrigare in casa per insistere più di tanto. Di solito, visto che i suoi amici immaginari lo ignoravano, Nardino passava quasi tutto il tempo a disegnare. Faceva dei gran disegni sulle pareti di casa. I primi tempi, scoprendo i disegni sul muro, la madre lo sgridava. E quando lo sgridava gliele suonava anche. Ma Nardino, che per il resto era un bambino obbedientissimo, da quell’orecchio non ci sentiva. Era più forte di lui: dopo un’ora era di nuovo in preda a una specie di imbambolamento, con un pezzo di carbone in mano, a disegnare sul muro. Ed erano altre grida, altre botte.
Solo che alla fine, a forza di grida e botte, Nardino era diventato bravo. Pian piano la madre smise di dargli botte e poi anche di sgridarlo: si era resa conto che i disegni del figlio non erano affatto male, per quanto certe volte un po’ astratti. Dalle sgridate era passata ai complimenti:
- Bravo Nardino! E cosa rappresenta?
Il bambino non rispondeva perché, specie i primi tempi, i suoi disegni non rappresentavano niente di preciso. Erano sue fantasie che prendevano corpo nel momento stesso in cui impugnava il pezzo di carbone e si metteva all’opera.
Sua madre s’era rassegnata perché quei disegni tutto sommato riempivano le pareti della casa, che altrimenti sarebbero risultate del tutto spoglie. Nel giro di pochi mesi, da quando la madre aveva smesso di rimproverarlo, Nardino aveva istoriato tutte le pareti di casa, fino a dove riusciva ad arrivare alzandosi sulla punta dei piedi o salendo su uno sgabello, quando sua madre non poteva vederlo.
Poi, col passare dei mesi, in mezzo alle figure geometriche prive di significato, si azzardò a ritrarre dei volti umani. Come primo esperimento provò a fare il ritratto dei suoi due amici invisibili, che dispettosi com’erano neanche fecero lo sforzo di mettersi in posa per lui. Anzi, si voltavano dall’altra parte ridacchiando fra loro per motivi che a lui sfuggivano. Ma Nardino lavorava a memoria e riuscì a farli abbastanza somiglianti. O almeno così gli pareva.
Quando sua madre scoprì quei volti sul muro diventò improvvisamente seria, e Nardino pensò che stavano per ricominciare le botte. Ma la madre non disse niente: lo fissò, fissò ancora i disegni e rimase zitta. Due giorni dopo, quando venne a trovarlo il suo signor padre, la madre anziché mettergli il muso come al solito, lo portò nella stanza dei ritratti e glieli mostrò. Nardino vide i genitori che parlavano fra loro, ma non sentiva cosa si stavano dicendo. Suo padre muoveva la testa come se fosse preoccupato. Ma neanche suo padre lo picchiò, anzi gli fece un sorriso e una carezza fra i capelli. Si limitò a chiedergli:
-Li hai fatti tu, quelli?
Nardino non voleva mettersi nei guai, ma rispose la verità, ammettendo la sua colpa con un cenno del capo. Il padre allargò il sorriso e il bambino capì che non ce l’aveva con lui. Da quel giorno seppe come occupare il tempo quando il signor padre veniva a fargli visita. Appena quello varcava la soglia, Nardino subito lo prendeva per mano e lo trascinava a vedere le sue ultime creazioni.
Nella fino ad allora breve esistenza di Nardino da quel momento cominciò un periodo che poteva risultare sereno, se non proprio felice. La madre gli voleva bene, il signor padre lo apprezzava. Ma lui restava un bambino solitario e introverso, che guardava giocare i suoi amici immaginari senza riuscire a intercettarne l’allegria.
Finché un giorno successe che i due amici immaginari scomparvero. La sera prima c’erano, e il mattino dopo, al risveglio, Nardino non li trovò più da nessuna parte. Li cercò dappertutto, rendendosi conto che per lui rappresentavano un conforto, anche se nei giochi non lo prendevano nemmeno in considerazione. Né poteva chiedere alla madre se per caso li aveva visti, perché sapeva di essere il solo che riusciva a vederli.
Non fu la scomparsa degli amici immaginari l’unica sorpresa di quella mattina. Assieme ai due era scomparso anche il carbone. Nardino ne teneva da parte una piccola riserva di pezzi belli grossi e grassi, che aveva selezionato apposta per disegnare. Li teneva in una cesta vicino al camino, ma anche quelli, che la sera prima c’erano, al mattino erano scomparsi.
Passò una mattinata di schifo, senza riuscire a scoprire dove potessero essere finiti i due amici immaginari e la sua riserva di carbone. Ma siccome era un bambino molto intelligente, il cervello gli galoppava formulando ipotesi a getto continuo. Di una cosa era praticamente certo: la partenza dei due amici immaginari era collegata con la scomparsa del carbone.
Ci sono cose che un bambino di quattro anni pensa. Altre cose che capisce. Altre cose ancora che intuisce. Ma tutti e tre i generi - il pensiero, la comprensione e l’intuito – nel cervello di un bambino di quattro anni vengono frullate in continuazione, in modo che è impossibile distinguere un genere dall’altro. Chi può dire cosa passa per la testa di un bambino di quattro anni che di punto in bianco, senza neanche il pretesto di un litigio con la madre, decide di scappare da casa? E perché poi? Per seguire quali fantasmi? Eppure fu questo che fece Nardino la sera stessa, dopo che le candele di casa furono spente: scappò di casa. Di nascosto. Prese il minimo delle sue cose, scavalcò un davanzale e si trovò a respirare l’aria pungente della notte. Stava per cominciare un’avventura che sarebbe risultata determinante per il suo futuro, senza la quale niente della sua esistenza sarebbe andata come poi sarebbe andata.
Due ultime cose bisogna sapere, prima di scoprire come finisce questa storia. La prima: siamo nell’anno millequattrocentocinquantasei. La seconda: il paese della campagna toscana dove si trovava la casa del piccolo Leonardo si chiamava Vinci.
Roberto Alajmo
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