giovedì 26 aprile 2007

Prova del surriscaldamento terrestre

AMBIENTE

Il surriscaldamento del pianeta fa comparire una terra fino ad oggi sconosciuta
L'esploratore americano che l'ha scoperta l'ha battezzata Warming Island

L'isola che non c'era adesso c'è
emersa dai ghiacci in Groenlandia

POTREBBE diventare il vero simbolo dei cambiamenti climatici che stanno modificando l'aspetto del nostro pianeta. Dennis Schmitt, l'esploratore americano che l'ha scoperta, l'ha battezzata in lingua esquimese Uunartoq Qeqertoq, the Warming Island: sarà un nome che sentiremo spesso. La nuova isola è apparsa in seguito allo scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia, il fenomeno che preoccupa di più gli ambientalisti di tutto il globo.

Fino ad oggi si credeva che quel lembo di terra, dalla forma di una mano con tre dita, fosse una penisola coperta dal ghiaccio che si allungava nella parte orientale della costa. Il rapido liquefarsi del ghiacciaio, però, ha mostrato chiaramente che si tratta in realtà di un fazzoletto di terra circondato dall'acqua.
Le fotografie catturate dal satellite fin dagli anni Ottanta mostrano l'evoluzione dello scioglimento del ghiacciaio e, al tempo stesso, svelano ciò che il Professor Schmitt per primo ha capito. Nelle foto risalenti al 1985 questa zona appariva come facente parte integrante della costa della Groenlandia. Già nel 2002 solo un sottile ponte di ghiaccio sembrava collegare le due terre. Oggi le due coste sono del tutto separate a causa di una trasformazione tanto rapida quanto sorprendente.

Ed è proprio la velocità con cui il fenomeno si sta sviluppando che inquieta il mondo scientifico: gli studiosi hanno calcolato che se nel 1996 il ghiacciaio si era sciolto di 50 chilometri cubici, nel 2005 ben 150 chilometri cubici di ghiaccio sono stati depositati nell'acqua. Solo fino a tre anni fa si credeva che ci sarebbero voluti 1000 anni prima che la coltre bianca della Groenlandia si spaccasse per sciogliersi nel mare, ma dal 2004 i dati parlano chiaro: il processo di disintegrazione si sta accelerando e avanza a una velocità tre volte maggiore rispetto a quella degli anni Novanta.

I numeri sono demoralizzanti: secondo modelli elaborati al computer, se davvero il secondo blocco di ghiaccio del globo dovesse veder fondere i suoi 2.5 milioni cubici di chilometri di ghiaccio, il livello del mare del pianeta si innalzerebbe di oltre 7 metri. Intere città ne resterebbero sommerse. Londra e le Maldive sarebbero inghiottite dalle acque. Dati che allarmano i ricercatori in quanto un fenomeno che avesse solo un decimo della portata di quello appena descritto avrebbe già conseguenze devastanti.

Altre isole, intanto, potrebbero emergere dai bianchi blocchi della Groenlandia, svelandosi improvvisamente a chi saprà riconoscerle: geografi ed esploratori di tutto il mondo si sono messi alla caccia della loro personale Atlantide.

(24 aprile 2007)

mercoledì 25 aprile 2007

Boom dell'italiano negli USA

SCUOLA & GIOVANI

In dieci anni raddoppiati gli iscritti, nuove cattedre perfino in Alaska e Porto Rico. Ottanta atenei americani hanno una sede anche a Firenze. "Merito di moda e cibo"

Usa, la rivincita dell'italiano
è boom di corsi all'università

dal nostro corrispondente MARIO CALABRESI

NEW YORK - "Quando il professore fece l'appello, il primo giorno, tutti si voltarono a guardarmi: il mio cognome era l'unico che non finisse con una vocale". Università della Pennsylvania, anno 1956, Daniel Berger, ebreo newyorkese, è l'unico studente del corso di italiano a non essere figlio di emigranti.

Gli americani fanno studiare ai loro figli il francese, la lingua dei viaggi, della gastronomia raffinata e della cultura, l'italiano è identificato con il dialetto che parlano i muratori, i giardinieri e i camerieri dei ristoranti. Mezzo secolo dopo la nostra lingua si è presa la rivincita, in crescita costante da dieci anni, ora è la quarta più studiata nelle università americane e oltre 60mila ragazzi nel 2006 hanno scelto di seguire un corso di lingua e cultura italiana.

"E' un momento magico, ci sono cattedre ovunque negli Stati Uniti perfino in Alaska e alle Hawaii, ne sono appena state aperte due a Puerto Rico". Massimo Ciavolella, che guida il dipartimento di italiano all'Università della California a Los Angeles, ha studiato l'evoluzione del fenomeno: "Vedo tre ragioni per questo boom: è sparita l'idea dell'italiano come emigrante, oggi la nostra lingua si è liberata da quell'immaginario ed esprime un'idea di cultura e di stile. Il successo dei prodotti italiani è servito da traino, penso alla moda e al cibo. L'Italia ha cambiato il modo di vestire e di mangiare degli americani e questo li ha conquistati. Infine è rinata la moda del Grand Tour: Più di 80 università americane hanno una sede a Firenze. Per un giovane studente oggi il viaggio in Italia rappresenta una tappa fondamentale di formazione".

La summer school di Columbia University a Venezia, in cui si studiano lingua, architettura e storia dell'arte, non ha più posti disponibili, come ci racconta Francesco Benelli, che nell'ateneo di Manhattan tiene il corso di architettura rinascimentale: "È nata da tre anni ma ha un successo clamoroso, i ragazzi vogliono scoprire l'Italia e questo è estremamente positivo, ma contemporaneamente va segnalata una crisi degli studi specialistici: a New York c'era una tradizione incredibile di studi sul barocco e il rinascimento, ora sono in forte declino".

Il suo collega Nelson Moe, che al Barnard College supervisiona i programmi di chi per un periodo viene in Italia, conferma: "Prima l'italianistica era lo studio approfondito della Divina Commedia, naturale che fosse per pochi, oggi c'è un approccio interdisciplinare che ha conquistato molti studenti: arte, letteratura, cinema, musica e anche la cultura del cibo procedono insieme. L'italiano è vissuto come una lingua polisensoriale capace di aprire le porte al "bello"". Moe non si spaventa, è convinto che il successo figlio anche del boom dei ristoranti, degli stilisti, dei libri di cucina e dei viaggi sia un utile primo passo: "La sfida è conquistare questi studenti per poi portarli a corsi più avanzati".

Negli anni '60, secondo le statistiche della Modern Language Association, 11mila ragazzi studiavano italiano, nel 1970 erano saliti a 34mila, nel 1998 si supera la soglia dei 40mila iscritti, nel 2004 dei 50mila e lo scorso anno dei 60mila. Tra il '98 e il 2002, c'è un balzo del 30%, straordinario se comparato alle altre lingue europee, che negli ultimi cinque anni si è consolidato. Ancora nel '70 il francese la fa da padrone, con 360mila iscritti, poi comincia un declino che oggi ne fa ancora la seconda lingua studiata dietro lo spagnolo (746.000 iscritti) ma a quota 200mila. Al terzo posto c'è il tedesco, che a partire dagli anni '70 venne identificato come la lingua europea degli affari, ma che oggi ha perso questa caratteristica di idioma indispensabile per il business, lasciando il posto al cinese, che cresce insieme all'arabo.

"Storicamente - spiega Ciavolella, citando la ricerca pensata con Dino De Poli e la Fondazione Cassamarca di Treviso - le cattedre di italiano erano stati aperte soltanto in quelle aree degli Stati Uniti e del Canada dove c'erano i figli degli emigranti, come necessità per lo studio degli italo-americani, oggi non è più così, anche se la maggiore concentrazione resta sulla costa Est". In crescita anche il numero degli iscritti ai master e ai dottorati, si è passati da 925 del '98 a 1100 oggi, ma siamo sotto la soglia dei 1200 iscritti sopra la quale un programma entra nella classifica federale e ha diritto ad avere finanziamenti e borse di studio.

Oggi non siamo più emigranti, Renzo Piano sta per inaugurare il grattacielo progettato come sede del New York Times, Bulgari lancia la sua sfida a Tiffany con un negozio grande uguale che occupa l'angolo opposto della Quinta strada, un italoamericano come Rudolph Giuliani corre per la presidenza e il vino italiano è al primo posto tra quelli importati, davanti ad Australia e Francia. Daniel Berger adesso lavora a Roma, al ministero dei Beni Culturali, è consulente per il recupero delle opere d'arte trafugate all'estero. Se è in Italia il merito è di quel professore che faceva l'appello cinquant'anni fa: "Si chiamava Domenico Vittorini, al pomeriggio insegnava ai cantanti d'opera la pronuncia e la fonetica, creò in me la passione per la lingua e per farmi migliorare la grammatica ogni giorno nelle vacanze estive mi spediva una lettera con un compito da rimandargli il giorno dopo. Allora ero solo, oggi finalmente l'italiano in America è la lingua della cultura".

(la Repubblica 23 aprile 2007)

mercoledì 18 aprile 2007

Mio Fratello è Figlio Unico



Cast
Riccardo Scamarcio, Elio Germano, Angela Finocchiaro, Massimo Popolizio, Luca Zingaretti
Regia
Daniele Luchetti
Sceneggiatura
Stefano Rulli, Sandro Petraglia, Daniele Luchetti
Data di uscita
Venerdì 20 Aprile 2007
Generi
Sociale, Commedia
Distribuito da
WARNER BROS. ITALIA
"MIO FRATELLO è FIGLIO UNICO" Sinossi

Mio fratello è figlio unico - ambientato a Latina, Roma e Torino tra gli anni ’60 e ’70 - è la storia di due fratelli dominati da uno strano modo di volersi bene: a schiaffi, a spintoni, a pugni. Accio (Elio Germano) e Manrico (Riccardo Scamarcio) sono diversi in tutto, uno fascista e l’altro comunista, uno moderato e l’altro estremista, uno chiuso nel bozzolo di un’ideologia che gli impedisce di vedere il mondo come è, l’altro disponibile a ammorbidire la propria visione del mondo a favore di una vitalità totale. A renderli vicini è una sorta di ‘energia’ che li porta a battersi l’uno contro l’altro, un’energia che è giovinezza, voglia di esistere, di essere considerati, di essere amati. Infatti, in questa famiglia dove ci si accapiglia su tutto, c’è un nucleo affettivo misterioso, poiché quei due fratelli che crescono in perenne conflitto, senza comprendersi, in realta’ si amano disperatamente. E ci parlano di un Paese non riconciliato, non pacificato, ossessionato dalla ricerca di una identità che non riesce mai a diventare ascolto dell’altro, confronto vivo con chi è altro da noi. Accio e Manrico finiscono per riconoscersi simili solo nel finale, proprio quando si rendono conto di essere radicalmente e per sempre diversi l'uno dall'altro. Solo allora realmente si “toccano”. E mentre si perdono eccoli lì che si ritrovano, irriducibili eppure, per la prima volta, davvero fratelli.

mercoledì 4 aprile 2007

Ancora effetto serra

3 aprile 2007

Rapporto Onu: 61 Paesi a rischio per l'effetto serra (ma spunta qualche voce fuori dal coro)
P. F.
Sessantuno Paesi, principalmente nel Terzo mondo, sono a rischio-carestia per l'aumento della temperatura globale causata dai cambiamenti climatici in atto, che, in ultima analisi, contribuiranno a destabilizzare ulteriormente lo scenario internazionale: lo scrive il quotidiano britannico «The Independent», anticipando la la bozza del rapporto Onu sui «Cambiamenti climatici 2007», curato oltre 2.500 scienziati di tutto il mondo, che sarà presentato venerdì 6 aprile a Bruxelles e fa seguito a un altro documento pubblicato due mesi fa, in cui si affermava «inequivocabilmente» che la responsabilità del riscaldamento globale era da attribuire al 90% alle attività umane.

La nuova bozza conferma che i cambiamenti stanno avvenendo «più velocemente del previsto» e che «colpiranno i sistemi biologici e fisici di ogni continente». Lo scenario è apocalittico: in 20 anni, dieci milioni di sudamericani e centinaia di milioni di africani saranno «a corto» d'acqua e alla metà del XXI secolo un miliardo di asiatici potrebbero affrontare il rischio siccità. I ghiacciai della catena dell'Himalaya, che alimentano i grandi fiumi del continente asiatico, si scioglieranno del tutto entro il 2035, minacciando la vita di 700 milioni di persone. Nel 2050, benchè inizialmente i raccolti cresceranno nei Paesi temperati grazie al caldo che allungherà la stagione produttiva, la produzione crollerà del 30% in India, con 130 milioni di persone costrette a fare fronte a una terribile carestia. Nel 2080 cento milioni di persone dovranno abbandonare le loro case sulla costa minacciate dall'innalzarsi delle acque dovuto allo scioglimento delle calotte di ghiaccio dei poli. Oltre un terzo delle specie animali saranno «ad alto rischio di irreversibile estinzione».

Nei giorni in cui gli esperti internazionali dell'Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) presentano il rapporto sulle conseguenze del riscaldamento globale causato dalle emissioni umane di CO-2 , un gruppo di scienziati sfida la convinzione generalizzata che i cambiamenti climatici siano da attribuire alla responsabilità umana. Questi studiosi puntano il dito sul cambiamento naturale delcalore solare, sul raffreddamento del pianeta nella metà del XX secolo e sul rallentamento del rialzo della temperatura nell'ultimo decennio.

Tra coloro che mostranoscetticismo verso gli allarmi dell'organismo dell'Onu vi sono Richard Lindzen, meterologo del Mit, Paul Reiter, professore all'Istituto Pasteur di Parigi e lo scrittore Michael Crichton. Queste voci fuori dal coro sostengono che le temperature siano scese per diversi decenni dopo il 1945, nonostante l'aumento delle emissioni di diossido di carbonio. Altra tesi è che le concentrazioni di diossido di carbonio nell'atmosfera hanno ritardato l'aumento della temperatura stando alla datazione dei nuclei di ghiaccio che risalgono a 600 mila anni fa. Per gli scienziati "contro", l'aumento delle temperature che ha caratterizzato la seconda metà dell'ultimo secolo ha conosciuto un fase di stallo negli ultimi dieci anni. Il 1998 è stato un anno estremamente caldo a causa dell'andamento anomalo di El Nino e gli anni successivi sono stati più freddi: un decennio sarebbe quindi un periodo troppo elaborare tendenze di lungo periodo.