venerdì 6 febbraio 2009

Saviano a Barcellona: La camorra è fra voi, in Spagna

Soprattutto Catalogna e Sud sono usati come basi d'appoggio

La mafia e la camorra non riguardano soltanto l'Italia e Napoli, ma "tutta l'Europa e soprattutto la Spagna". Lo disse giovedì a Barcellona il giornalista e scrittore Roberto Saviano, invitato a partecipare al festival del romanzo noir "Barcelona Negra".


saviano

Saviano nell’incontro di Barcellona (Foto Eleonora Aquilini)

Sono arrivati prima i flash. Poi Roberto Saviano è entrato tra gli arazzi della maestosa sala quattrocentesca del Consell de Cent, il municipio di Barcellona. Accolto da un lungo applauso e accompagnato dal sindaco della città Jordi Hereu. Poco dietro di lui e intorno all’edificio, uomini alti con auricolari. A ricordare che Saviano non è, suo malgrado, un autore “normale”. Il successo di Gomorra, da mesi in cima alle classifiche dei libri più venduti in Spagna, lo precede. Così come la fama di “scrittore minacciato”, cosa che tutti i quotidiani locali hanno rimarcato nel presentare questo suo incontro con il pubblico e i giornalisti, inserito tra gli appuntamenti di “BCnegra - settimana del romanzo noir a Barcellona”. “I valori che esprime Roberto sono quelli di questa città, che lo riceve a braccia aperte” lo accoglie con queste parole il sindaco.
La sala è strapiena e molte persone sono rimaste fuori: la coda attraversa l’intera Plaza Sant Miquel. Moltissimi italiani presenti, in maggioranza giovani (sono in 16mila a vivere qui, uno dei gruppi di stranieri più numerosi). In molti hanno portato “Gomorra” da far firmare, cosa che la security non permetterà. “Mi ha cambiato la vita, non lo rinnego, ma mentirei se dicessi che amo il mio libro, ho quasi un rigetto fisico quando lo vedo, mi ha tolto quello che avevo” dice, rispondendo a una domanda del giornalista Carles Quilez e del commissario dei Mossos d'Esquadra
Miquel Capell, “nell’economia del quotidiano” spiega Saviano, “non vedo i premi e la gente, ma una casa che cambia ogni giorno e un’auto blindata”.


 Roberto Saviano e la sua scorta

Il commissario (e scrittore di racconti) gli chiede degli uomini dei clan che vivono in Catalogna. Molti sono i boss arrestati nel corso dell’ultimo anno dal lavoro congiunto delle polizie italiana e spagnola. “La Spagna è un territorio chiave per i boss” risponde lo scrittore italiano “qui a Barcellona vive il latitante Raffaele Amato, lo sanno tutti, l’ultima volta che sono venuto qui mi hanno detto ‘non andare in quel locale sulla Rambla perché ci sta Amato’, è paradossale”. “Il problema” secondo Saviano, “è che la regola dei gruppi criminali è non fare sangue dove si fanno affari. E qui fanno affari, sono visti come imprenditori, dal cemento alla ristorazione. Ma coi soldi della cocaina, di cui la Spagna è il punto di arrivo in Europa”. Il commissario, forse punto nell’orgoglio, risponde “i nostri paesi sono stati di diritto, spesso è difficile attuare con decisione e rispettare le tutele democratiche: noi abbiamo arrestato Amato ma senza un ordine di cattura internazionale non potevamo trattenerlo. Gli stati democratici hanno gli strumenti adatti?” “Invece che sulla repressione militare bisognerebbe puntare sui reati finanziari” risponde lo scrittore napoletano, “in Inghilterra non esiste neppure il reato di associazione mafiosa”. E le mafie sul terreno globale, secondo Saviano, sono più veloci e strutturate delle polizie: “L’Europa dovrebbe rendersi conto che la mafia non è un problema solo del sud Italia, ma che sono coinvolte decine di paesi”.


“Non hai dato una cattiva immagine di Napoli?” gli chiede un ragazzo, molto emozionato, dal pubblico “io lavoro qui e ogni volta mi chiamano munnezza, camorra”. Il conterraneo Saviano si aspettava la domanda e risponde con una battuta, “L’ha detto anche il capitano, Cannavaro, ma qui mi han detto ‘cosa vuoi che dica, è del Real Madrid”, ma poi approfondisce “no, non mi sento responsabile: i responsabili sono quelli che sparano e riempiono la terra di rifiuti, il silenzio è il contrario della speranza, la speranza viene dalla conoscenza”. “Non hai paura di essere etichettato come uno scrittore di mafia?” gli domanda un giornalista. Per lo scrittore partenopeo è l’occasione di parlare del libro in uscita in Spagna, "Il contrario della morte",


Il nuovo Saviano

che raccoglie racconti già pubblicati in Italia nel 2007: “io non voglio scrivere solo di mafia, voglio usare il metodo del cronista e il linguaggio dello scrittore per scivere della mia terra, perché ce l’ho suturata nell’anima”, dice, “raccontare dei ragazzi che non hanno scelta e devono emigrare”. Il tema scatena un grande applauso in sala “E’ un tema di cui non si parla” dice Saviano, non ancora trentenne, “negli ultimi dieci anni due milioni di giovani sono scappati dall’Italia: si va via per far nascere con la fecondazione assistita, si va via per morire con dignità e ora si va via anche per vivere felici, per poter realizzare le proprie aspirazioni”. C’è anche il tempo di parlare del film di Matteo Garrone tratto dal suo libro e della sua esclusione dagli Oscar: “Martin Scorsese mi ha detto che non capiscono niente e che il film piacerà” racconta Saviano, “ma io li capisco: è un film ‘di qualità’, difficile, di due ore, in dialetto napoletano, mi sembra già straordinario che abbia ottenuto tutto questo successo. E poi smonta totalmente l’immagine glamour dei boss come self-made-man di successo che proprio il cinema americano ha creato”. Poi Saviano si alza e se ne va dalla porta sul retro, accompagnato dalla scorta, mentre in sala qualcuno grida “Roberto sei tutti noi!”


Dichiarazioni di Saviano a Barcellona.

Sulla sua condizione di 'superprotetto' dalle forze dell'ordine, lo scrittore napoletano ha detto che l'attenzione costante su di sé "è l'unica garanzia che ho", e si è detto addolorato per il "disprezzo" che molti italiani al di là dei mafiosi nutrono per la sua denuncia, per il fatto che molti lo considerano "molesto" per aver "sputato sulla propria terra". Saviano presenterà a Barcellona anche il suo nuovo libro "Il contrario della morte", che narra la storia della giovane vedova di un soldato morto in missione di pace in Afghanistan, e riceverà il premio Manuel Vazquez Montalban.

mercoledì 4 febbraio 2009

Gli operai di Rovigo: "Via gli stranieri se gli inglesi cacciano gli italiani"

Sulle piattaforme al largo delle coste venete dove lavorano cento tecnici britannici. "Le barricate nel mio Paese? Sono ridicole"

PORTO VIRO (Rovigo) - "It's a pity. È un peccato, a me piace lavorare con gli italiani, amo l'Italia. Spero che questa storia della raffineria di Grimsby sia solo un incidente". Brian è appena arrivato dalla piattaforma al largo dell'Adriatico dove cento britannici, con altri duecento colleghi italiani e del resto del mondo, costruiscono gomito a gomito un rigassificatore che darà il metano al 10% del nostro Paese. Non ha voglia di parlare, mentre esce dalla base a terra di Porto Viro, protetta come una caserma, dove lavorano altri cento impiegati, quasi tutti della Exxon Mobil, britannici, americani, norvegesi, italiani.

Sembra impaurito dall'idea che una guerra tra poveri possa d'improvviso mettere a rischio questo laboratorio di convivenza e di cooperazione internazionale in mezzo al mare, che non ha mai visto polemiche tra locali e britannici. Qui a Natale gli inglesi cucinano il tacchino per i colleghi del Polesine. Al largo giocano a ping pong, condividono gli stessi pasti, le stesse partite di calcio su Sky.

Identiche le loro cabine sulla piattaforma larga come due campi di calcio e alta cinquanta metri, per due terzi sott'acqua, a 15 miglia dalla costa, o sulla nave alloggio dove riposano dopo 12 ore di lavoro. Ma la notizia di quello sciopero di operai britannici contro gli "italians" arriva come un presagio. Il fantasma di una brutta storia che potrebbe materializzarsi anche qui. Perciò in tanti escono a testa bassa, senza una parola, dribblando le domande.

"Non ho letto i giornali, non so nulla", dice un altro britannico che fila via a testa bassa. "I'm not qualified, non ho titoli per parlare", mormora un terzo che si dilegua nella nebbia che avvolge la base. Sembrano intuire che tra i locali il clima sta cambiando. "In Italia gh'è un casìn - protesta a duecento metri Melchiorre Vidali, muratore, che lavora al cantiene navale - a me l'inglese e il francese non mi danno fastidio, ma se ci rifiutano, dobbiamo farlo anche noi". Anche Luigi Tessarin, titolare dell'hotel di Taglio di Po che ospita una mezza dozzina di tecnici del Regno Unito è preoccupato.

"Gli inglesi vogliono prendersi il loro pane - mormora - ma se fanno così li mandiamo a casa anche noi". Un avvertimento che ha il sapore della legittima difesa. Non ci sono manifestazioni, né proteste in queste terra invasa dall'acqua dove solo la statale Romea riesce a cucire un paesaggio di capannoni, spettri di stabilimenti in disuso e paesini. Però gli scioperi contro gli italiani creano inquietudine. "Va miga bein - protesta Orazio Milani, avventore del bar Mauro dove alloggiano venti polacchi che ogni mattina alle sei partono per la piattaforma e la sera bevono "una birra e uno sprizzetto e vanno a letto alle dieci, senza mai un problema". In Inghilterra "sbagliano di grosso, ci vogliono portare indietro" sentenzia Marziano Berto, il barista. "Sono solo ignoranti", conferma il cliente bevendo il caffè.

Fiutano l'aria anche gli operai della base invitati dall'azienda a non offrire spunti di polemica, soprattutto dopo che la Lega Nord ha minacciato pan per focaccia agli stranieri. Più che mai strette le misure di sicurezza in una base dove è vietato bere alcolici e ci si sottopone a test periodici. "Quello che stiamo facendo è un grande progetto", si giustifica Adriano Gambetta il comandante della base a terra, genovese, capitano di lungo corso che da un anno comanda le operazioni dalla costa. A fine primavera qui cominceranno a produrre metano dal gas liquido che arriva dal Qatar. Tre navi a settimana verranno vuotate, e scalderanno un decimo delle case degli italiani. Otto miliardi di metri cubi di gas prodotti da Adriatic Lng, (45% di Exxon Mobil, 45% di Qatar Gas, 10% di Edison). Un progetto pilota che coinvolge tecnici di mezzo mondo.

Finita la costruzione, resteranno solo 66 italiani per far funzionare la baracca. "L'unica cosa che mi interessa è finire quest'opera", spiega un tecnico inglese: "Non voglio storie e non mi chieda come mi chiamo". Gli scioperi contro gli italiani? "Ridiculous", protesta un impiegato della Exxon che lavora a terra. "Incomprensibile, così si torna indietro", aggiunge Bjorne, norvegese che trova l'Italia "un Paese fantastico". Si lamenta solo del "cattivo tempo" Bill, da Houston, Usa, che per 10 mila dollari al mese più mille per la trasferta ha portato con sé la moglie. Gli scioperi alla raffineria sono solo un incidente? "Proteste sterili, non credo che vedremo mai cose del genere in Italia", scommette il comandante Gambetta.

Meno ottimista l'ingegnere parigino, appena rientrato dalla piattaforma: "E se fosse il primo segnale di una reazione protezionistica alla recessione mondiale? Sarebbe un guaio".

(4 febbraio 2009)

martedì 27 gennaio 2009

CORSO PROF-IT 2009




Sotto vi informiamo dell'attività di didattica dell'italiano organizzata quest'anno dal Prof-it. Speriamo che vi sia possibile perteciparvi.






PROGRAMMA DEL V LABORATORIO
DI DIDATTICA E DI AGGIORNAMENTO DELL’ITALIANO
A.A. 2008-2009

Coordinatori:

Cesáreo Calvo
Sonia Ravanelli
Alfredo Juan



I parte: febbraio 2009

Valencia, 20-21 febbraio 2009


Venerdì 20 febbraio 2009
(Aula 205 Laboratori d'Idiomes. Facultat de Filologia. 2º piano)


16:00 : Consegna di materiali.

16:15 : Saluto ai partecipanti.


16:30 - 20:30 : Sonia Ravanelli (Lettore Ministeriale - Universitat de València):

Cinema e letteratura: elaborazione di alcuni percorsi didattici


Sabato 21 febbraio 2008
(Aula 205: Laboratori d'Idiomes. Facultat de Filologia. 2º piano)



09:30 - 13:30 : Claudia Provenzano (Libera Università di Bolzano)

Testi narrativi e poetici nell'insengamento dell'italiano L2: un po' di sapere e più sapore possibile

13:30 Chiusura


II parte: maggio 2009

Valencia, 9-10 maggio 2009


Venerdì 9 maggio 2009
(Aula 406: Aula Multimedia. Facultat de Filologia. 4º piano)


16:30- 20:30 : Gherardo Ugolini (Università di Verona):

L'italiano dei giornali tra oralità e scrittura


Sabato 10 maggio 2009
(Aula 406: Aula Multimedia. Facultat de Filologia. 4º piano)


09:30- 13:30 : Antonella Berriolo:

Second Life nell'insegnamento delle lingue

13:30 Chiusura


Note:
  • Le sedute del corso saranno integrate con attività svolte autonomamente dai partecipanti.
  • A chi avrà frequentato regolarmente e con profitto le attività verrà rilasciato un certificato del CEFIRE di Valencia (per insegnanti dipendenti dalla Generalitat) oppure del Departament de Filologia Francesa i Italiana (per gli altri).
  • I materiali creati durante il corso saranno inviati al CEFIRE di Elda per la loro pubblicazione.
Iscrizione (CEFIRE)

Iscrizione (altri)

venerdì 23 gennaio 2009

« Dammi polenta ed acqua: in tal modo, quanto a felicità, sarò un emulo dello stesso Zeus »


Epicuro, filosofo greco del IV-III a.C.

Polenta e pesce.

La polenta (o polenda, o pulenda) è un antichissimo modo di cucinare le farine di cereali, conosciuto sull'intero suolo nazionale sin dai tempi più remoti, tuttora molto diffuso nelle regioni del nord e del centro Italia.

La polenta, con numerose varianti, è diffusa anche in Savoia, Svizzera, Austria, Croaziapalenta, žganci o pura), Slovenia (polenta o žganci) , Serbia (palenta), Romania (mămăligă), Bulgaria, Corsica (pulenta), Brasile (polenta), Argentina, Uruguay, Venezuela, e Messico.
In Burundi si prepara una polenta con acqua e farina di manioca, senza sale, chiamata in kirundi con il nome di umutsima.

La tradizionale polenta all'aria aperta.

La polenta è formata da un impasto di acqua, farina di cereali (oggi la più comune in Europa è quella di granoturco, la polenta gialla) e sale, cotti in un paiolo (la tradizione vuole che sia di rame) per almeno un'ora. La farina da polenta è solitamente macinata a pietra ("bramata") più o meno finemente a seconda della tradizione della regione di produzione. In genere la polenta viene presentata in tavola su di un'asse circolare coperta da uno straccio e viene servita, a seconda della sua consistenza, con un cucchiaio o a fette, queste ultime un tempo tagliate con un filo di cotone, dal basso verso l'alto.

Il termine deriva dal latino puls, specie di polenta di farro (in latino far da cui deriva farina) che costituiva la base della dieta delle antiche popolazioni italiche. I greci usavano invece solitamente l'orzo. Ovviamente, prima dell'introduzione del mais (dopo la scoperta dell'America) la polenta veniva prodotta esclusivamente con vari altri cereali come, oltre ai già citati orzo e farro, la segale, il miglio, il grano saraceno e anche il frumento. Oggi le polente prodotte con tali cereali sono più rare, specie in Europa.

Attualmente esistono in commercio farine di granoturco precotte, che permettono di cucinare la polenta riducendo il tempo di cottura a pochi minuti, naturalmente con sostanziali differenze di consistenza e sapore, rispetto alla polenta tradizionale.

Farina di mais bramata.

Ricette e varianti regionali

  • In Val Camonica, secondo la tradizione locale, giunse attorno al 1630, con l'importazione di 4 chicchi di granturco dalle Americhe da parte di Pietro Gaioncelli, nobile cavaliere di Costa Volpino: questo paese fu storicamente il primo in Lombardia, a sfruttare tale coltivazione, poi sviluppata in tutta la regione, e probabilmente il primo a inventarsi quello che sarebbe stato, nei secoli a venire il pane quotidiano lombardo.
  • La polenta taragna, in molte zone conosciuta come taragna, è una ricetta tipica della cucina valtellinese, camuna e delle valli bresciane e bergamasche.
Polenta taragna.
  • Il suo nome deriva dal tarai ("tarel"), un lungo bastone usato per mescolarla all'interno del paiolo di rame in cui veniva preparata. Come altre polente della montagna lombarda (ad esempio la pulénta vüncia, polenta uncia cioè unta), è preparata con una miscela contenente farina di grano saraceno, che le conferisce il tipico colore scuro, diversamente dalle preparazioni di altre regioni, che utilizzano un solo tipo di farina, ottenendo quindi una polenta gialla. A differenza dell'oncia, nella polenta taragna il formaggio viene incorporato durante la cottura.

Canto alla polenta.
  • La pulenta uncia viene cucinata sul lago di Como. Dopo aver preparato la polenta con farina di mais con l'aggiunta di farina di grano saraceno nel paiolo, la si mischia ad un soffritto di abbondante burro, aglio ed erba salvia con del formaggio tipico semüda fino ad ottenere un composto omogeneo.
  • La pult è una polentina molto molle preparata sempre sul lago di Como mischiando farina di mais e di frumento. Viene cucinata soprattutto d'estate e la si mangia intinta nel latte freddo.

Le possibilità della polenta sono svariatissime.
  • La polenta concia è uno dei più noti piatti tipici valdostani e biellesi. Molto indicata per riempire e scaldare nelle giornate fredde, è conosciuta anche come "polenta grassa". I suoi ingredienti sono quelli tipici della cucina popolare tradizionale delle montagne italiane: farina di mais e formaggio. La polenta concia non ha una ricetta rigida, ma viene tendenzialmente preparata fondendo nella polenta a fine cottura cubetti di fontinatoma e burro fuso. e/o
    • Nella variante valdostana, vengono versati sul piatto già pronto burro fuso, formaggio stagionato grattugiato (ad esempio Grana Padano) e pepe. Spesso il piatto viene a questo punto posto in forno per qualche minuto per far fondere il formaggio grattugiato e formare una crosta croccante. In alcune zone, si aggiunge sulla polenta fumante anche una fetta di lardo d'Arnad.
    • Nella variante biellese, il burro viene aggiunto nel paiolo, insieme alla toma. Dal paiolo la polenta concia si versa nel piatto a mestolate, senza ulteriori aggiunte.
    • Nel Piacentino la pulëinta consa consiste di strati sottili di polenta ricoperti di sugo e alternati con un'abbondante spolverata di formaggio grana.
  • La polenta con i ciccioli è una ricetta diffusa nella maggior parte dell'Italia settentrionale, assumendo diverse denominazioni. I modi di cucinare la polenta con i ciccioli sono sostanzialmente due. Nel primo, i ciccioli vengono cotti con la polenta, aggiungendoli all'impasto in differenti fasi della cottura, in ossequio alla specifica tradizione locale, come nel caso della pulëinta e graséi consumata nel piacentino. Nel secondo modo, il più diffuso, i ciccioli vengono inseriti successivamente in una fetta di polenta abbrustolita, come nel caso della pulenta e grepule, tipica del mantovano.
Una pizza???
  • Nelle zone del Trentino meridionale si usa anche fare la polenta di patate ed altri ingredienti che ne arricchiscono il sapore. Per fare quella di patate è sufficiente cuocere nell'acqua salata alcune patate a tocchetti che a cottura adeguata si pestano o si frullano aggiungendo farina di grano saraceno o misto di farine a piacere. Verso fine cottura si possono aggiungere tocchetti di salame locale, formaggi, cipolle soffritte o varianti personali.
  • Nel centro Italia la polenta assume un aspetto differente. Viene preparata più fluida e servita su una tavola rettangolare di legno di ciliegio o pero intorno alla quale tutta la famiglia si siede per consumare il pasto. La cottura viene effettuata nel tradizionale paiolo di rame per circa 45 minuti durante i quali la polenta viene continuamente mescolata con l'altrettanto tradizionale "sguasciapallotti", il bastone di legno di orniello (usato anche nel nord Italia), che ha la particolarutà di essere dritto e di terminare con un incrocio di quattro rami, caratteristiche che gli permettono di assolvere egregiamente di sciogliere i grumi di farina.
  • La polenta di Tossignano: in questo paesino della Romagna, fin dal 1622, è tradizione preparare ogni anno (ad eccezione delle annate 1943 e 1944 dell'occupazione tedesca) una polenta speciale da distribuire alla popolazione. È una polenta gialla, realizzata con una miscela di farine di mais (tipicamente 50% a grana fine e 50% a grana grossa). Viene servita "dura", cioè in parallelepipedi che sono tradizionalmente tagliati con il filo di cotone, condita con un ragù di carne di maiale e "odore" di manzo e abbondantemente spalmata con formaggio Grana.

Polenta e Bertolucci
  • La polenta di Sardegna: nota anche come "purenta", "pulenta" o "farru" (polenta di orzo), sarebbe nota sin dalla civiltà nuragica, come dimostrerebbero i vari mortai ed altri strumenti d'epoca usati per la lavorazione di questo alimento e i residui fossili delle colture di piante graminacee utilizzate per ottenere tale farina e sin dal 3000 a.C. Gli stessi romani, che in epoca arcaica si cibavano di polenta di farro e orzo, tra il 238 a.C. e il 456 faranno della Sardegna, specialmente della pianura del Campidano, terra di coltivazione delle graminacee, preferendo tra i vari prodotti il grano, ingrediente base per creare la polenta ed anche il pane. La produzione fu tale che, durante l'epoca repubblicana, la Sardegna assunse il titolo di "granaio di Roma". In tempi più vicini, il grano duro resta ancora oggi l'elemento maggiormente sfruttato per creare questo piatto tradizionale isolano, nonostante sia stata usata anche la castagna e la ghianda, per confezionare la preziosa farina, o altri prodotti quali l’avena e la segale, questi ultimi in uso durante il Medioevo e, in seguito, il riso. La farina gialla per preparare la polenta alla sarda è accompagnata da altri alimenti quali la salsiccia, il pecorino sardo, la pancetta magra, nonché verdure ed ortaggi quali aglio, cipolla, carota, sedano, prezzemolo, necessari per aromatizzare ed arricchire il piatto in questione.
Alcuni proverbi:
La pulenta la cuntenta. (Proverbio comasco)
La polenta rende contenti (perché sazia)
Loda la polenta e mangia il pane. (Proverbio diffuso in tutto l'Italia settentrionale. La polenta, pur significando una manna per molti poveri e affamati, resta meno sana e nutriente del pane)

Argentina: Polenta & company.

Alcune ricette.

Ecco la Fetta di Polenta. Chi ci sa spiegare perchè?
Potrebbe essere una buona proposta di esposizione.

mercoledì 21 gennaio 2009

Di razza ce n'è una sola. Quella umana

Manifesto degli scienziati antirazzisti 2008

Roma - Il 5 settembre 1938 il Re d'Italia Vittorio Emanuele III promulgava le leggi razziali frutto del "Manifesto degli scienziati razzisti" (pubblicato sul "Giornale d'Italia" il 14 luglio 1938 e sul periodico "La difesa della razza" il 5 agosto 1938). A distanza di 70 anni da quel tragico e vergognoso evento, un gruppo di scienziati italiani ha preso una iniziativa altamente significativa.


I. Le razze umane non esistono. L'esistenza delle razze umane è un'astrazione derivante da una cattiva interpretazione di piccole differenze fisiche fra persone, percepite dai nostri sensi, erroneamente associate a differenze "psicologiche" e interpretate sulla base di pregiudizi secolari. Queste astratte suddivisioni, basate sull'idea che gli umani formino gruppi biologicamente ed ereditariamente ben distinti, sono pure invenzioni da sempre utilizzate per classificare arbitrariamente uomini e donne in "migliori" e "peggiori" e quindi discriminare questi ultimi (sempre i più deboli), dopo averli additati come la chiave di tutti i mali nei momenti di crisi.


II. L'umanità, non é fatta di grandi e piccole razze. È invece, prima di tutto, una rete di persone collegate. È vero che gli esseri umani si aggregano in gruppi d'individui, comunità locali, etnie, nazioni, civiltà; ma questo non avviene in quanto hanno gli stessi geni ma perché condividono storie di vita, ideali e religioni, costumi e comportamenti, arti e stili di vita, ovvero culture. Le aggregazioni non sono mai rese stabili da DNA identici; al contrario, sono soggette a profondi mutamenti storici: si formano, si trasformano, si mescolano, si frammentano e dissolvono con una rapidità incompatibile con i t
empi richiesti da processi di selezione genetica.

III. Nella specie umana il concetto di razza non ha significato biologico. L'analisi dei DNA umani ha dimostrato che la variabilità genetica nelle nostra specie, oltre che minore di quella dei nostri "cugini" scimpanzé, gorilla e orangutan, è rappresentata soprattutto da differenze fra persone della stessa popolazione, mentre le differenze fra popolazioni e fra continenti diversi sono piccole. I geni di due individui della stessa popolazione sono in media solo leggermente più simili fra loro di quelli di persone che vivono in continenti diversi. Proprio a causa di queste differenze ridotte fra popolazioni, neanche gli scienziati razzisti sono mai riusciti a definire di quante razze sia costituita la nostra specie, e hanno prodotto stime oscillanti fra le due e le duecento razze.


IV. È ormai più che assodato il carattere falso, costruito e pernicioso del mito nazista della identificazione con la "razza ariana", coincidente con l'immagine di un popolo bellicoso, vincitore, "puro" e "nobile", con buona parte dell'Europa, dell'India e dell'Asia centrale come patria, e una lingua in teoria alla base delle lingue indo-europee. Sotto il profilo storico risulta estremamente difficile identificare gli Arii o Ariani come un popolo, e la nozione di famiglia linguistica indo-europea deriva da una classificazione convenzionale. I dati archeologici moderni indicano, al contrario, che l'Europa è stata popolata nel Paleolitico da una popolazione di origine africana da cui tutti discendiamo, a cui nel Neolitico si sono sovrapposti altri immigranti provenienti dal Vicino Oriente. L'origine degli Italiani attuali risale agli stessi immigrati africani e mediorientali che costituiscono tuttora il tessuto perennemente vivo dell'Europa. Nonostante la drammatica originalità del razzismo fascista, si deve all'alleato nazista l'identificazione anche degli italiani con gli "ariani".


V. È una leggenda che i sessanta milioni di italiani di oggi discendano da famiglie che abitano l'Italia da almeno un millennio. Gli stessi Romani hanno costruito il loro impero inglobando persone di diverse provenienze e dando loro lo status di cives romani. I fenomeni di meticciamento culturale e sociale, che hanno caratterizzato l'intera storia della penisola, e a cui hanno partecipato non solo le popolazioni locali, ma anche greci, fenici, ebrei, africani, ispanici, oltre ai cosiddetti "barbari", hanno prodotto l'ibrido che chiamiamo cultura italiana. Per secoli gli italiani, anche se dispersi nel mondo e divisi in Italia in piccoli Stati, hanno continuato a identificarsi e ad essere identificati con questa cultura complessa e variegata, umanistica e scientifica.


VI. Non esiste una razza italiana ma esiste un popolo italiano. L'Italia come Nazione si é unificata solo nel 1860 e ancora adesso diversi milioni di italiani, in passato emigrati e spesso concentrati in città e quartieri stranieri, si dicono e sono tali. Una delle nostre maggiori ricchezze, é quella di avere mescolato tanti popoli e avere scambiato con loro culture proprio "incrociandoci" fisicamente e culturalmente. Attribuire ad una inesistente "purezza del sangue" la "nobiltà" della "Nazione" significa ridurre alla omogeneità di una supposta componente biologica e agli abitanti dell'attuale territorio italiano, un patrimonio millenario ed esteso di culture.


VII. Il razzismo é contemporaneamente omicida e suicida. Gli Imperi sono diventati tali grazie alla convivenza di popoli e culture diverse, ma sono improvvisamente collassati quando si sono frammentati. Così é avvenuto e avviene nelle Nazioni con le guerre civili e quando, per arginare crisi le minoranze sono state prese come capri espiatori. Il razzismo é suicida perché non colpisce solo gli appartenenti a popoli diversi ma gli stessi che lo praticano. La tendenza all'odio indiscriminato che lo alimenta, si estende per contagio ideale ad ogni alterità esterna o estranea rispetto ad una definizione sempre più ristretta della "normalità". Colpisce quelli che stanno "fuori dalle righe", i "folli", i "poveri di spirito", i gay e le lesbiche, i poeti, gli artisti, gli scrittori alternativi, tutti coloro che non sono omologabili a tipologie umane standard e che in realtà permettono all'umanità di cambiare continuamente e quindi di vivere. Qualsiasi sistema vivente resta tale, infatti, solo se é capace di cambiarsi e noi esseri umani cambiamo sempre meno con i geni e sempre più con le invenzioni dei nostri "benevolmente disordinati" cervelli.


VIII. Il razzismo discrimina, nega i collegamenti, intravede minacce nei pensieri e nei comportamenti diversi. Per i difensori della razza italiana l'Africa appare come una paurosa minaccia e il Mediterraneo è il mare che nello stesso tempo separa e unisce. Per questo i razzisti sostengono che non esiste una "comune razza mediterranea". Per spingere più indietro l'Africa gli scienziati razzisti erigono una barriera contro "semiti" e "camiti", con cui più facilmente si può entrare in contatto. La scienza ha chiarito che non esiste una chiara distinzione genetica fra i Mediterranei d'Europa (Occidentali) da una parte gli Orientali e gli Africani dall'altra. Sono state assolutamente dimostrate, dal punto di vista paleontologico e da quello genetico, le teorie che sostengono l'origine africana dei popoli della terra e li comprendono tutti in un'unica razza.


IX. Gli ebrei italiani sono contemporaneamente ebrei ed italiani. Gli ebrei, come tutti i popoli migranti (nessuno é migrante per libera scelta ma molti lo sono per necessità) sono sparsi per il Mondo ed hanno fatto parte di diverse culture pur mantenendo contemporaneamente una loro identità di popolo e di religione. Così é successo ad esempio con gli Armeni, con gli stessi italiani emigranti e così sta succedendo con i migranti di ora: africani, filippini, cinesi, arabi dei diversi Paesi, popoli appartenenti all'Est europeo o al Sud America ecc. Tutti questi popoli hanno avuto la dolorosa necessità di dover migrare ma anche la fortuna, nei casi migliori, di arricchirsi unendo la loro cultura a quella degli ospitanti, arricchendo anche loro, senza annullare, quando é stato possibile, né l'una né l'altra.


X. L'ideologia razzista é basata sul timore della "alterazione" della propria razza eppure essere "bastardi" fa bene. È quindi del tutto cieca rispetto al fatto che molte società riconoscono che sposarsi fuori, perfino con i propri nemici, è bene, perché sanno che le alleanze sono molto più preziose delle barriere. Del resto negli umani i caratteri fisici alterano più per effetto delle condizioni di vita che per selezione e i caratteri psicologici degli individui e dei popoli non stanno scritti nei loro geni. Il "meticciamento" culturale é la base fondante della speranza di progresso che deriva dalla costituzione della Unione Europea. Un'Italia razzista che si frammentasse in "etnie" separate come la ex-Jugoslavia sarebbe devastata e devastante ora e per il futuro.
Le conseguenze del razzismo sono infatti epocali: significano perdita di cultura e di plasticità, omicidio e suicidio, frammentazione e implosione non controllabili perché originate dalla ripulsa indiscriminata per chiunque consideriamo "altro da noi".

Enrico Alleva, Docente di Etologia, Istituto Superiore di Sanità, Roma

Guido Barbujani, Docente di Genetica di popolazioni, Università Ferrara

Marcello Buiatti, Docente di Genetica, Università di Firenze

Laura dalla Ragione, Psichiatra e psicoterapeuta, Perugia

Elena Gagliasso, Docente di Filosofia e Scienze del vivente, Università La Sapienza, Roma

Rita Levi Montalcini, Neurobiologa, Premio Nobel per la Medicina

Massimo Livi Bacci, Docente di demografia, Università di Firenze

Alberto Piazza, Docente di Genetica Umana, Università di Torino

Agostino Pirella, Psichiatra, co-fondatore di Psichiatria democratica, Torino

Francesco Remotti, Docente di Antropologia culturale, Università di Torino

Filippo Tempia, Docente di Fisiologia, Università di Torino

Flavia Zucco, Dirigente di Ricerca, Presidente Associazione Donne e Scienza, Istituto di Medicina molecolare, CNR , Roma

20/1/2009

domenica 18 gennaio 2009

LUCA CARBONI, GLI SPIRITI LIBERI DELLE "MUSICHE RIBELLI"



Roma - (Adnkronos) - Gli "spiriti liberi" delle "Musiche Ribelli". Uscito il nuovo album, coprodotto con Riccardo Sinigallia, del cantautore bolognese: "Musiche Ribelli". Il nuovo album e' un "omaggio", afferma l'autore, ai cantautori italiani degli anni '70, "spiriti liberi", racconta Carboni, "che hanno lavorato per mettere in discussione la societa' di quel tempo e farci scoprire che esistevano ben pensanti e convenzioni".



Luca parla del nuovo album

Da Francesco De Gregori, con "Raggio di sole" e "La casa di Hilde", a Claudio Lolli, con "Ho visto anche degli zingari felici" (cantata in duetto con Sinigallia), passando per Edoardo Bennato, con "Vendero". Seguono Lucio Dalla, con "Quale allegria"; Pierangelo Bertoli, con "Eppure Sofia"; Enzo Jannacci, con "Vincenzina e la fabbrica", ed Eugenio Finardi, con "Musica Ribelle". Fino ad arrivare a Franco Battiato, con "Up patriots to arm", ed a Francesco Guccini, con "L'avventura". Carboni ha riletto i brani rielaborandoli completamente dal punto di vista musicale, quasi a farne degli inediti.


"Raggio di sole" di De Gregori

"Generalmente non amo cantare e impossessarmi di canzoni di altri -spiega il cantautore- perche' mi piace molto anche il ruolo, apparentemente piu' passivo, dell'ascoltare, ascoltare e' un'arte. E in questo album -sottolinea- ci sono appunto canzoni e autori che ho avuto la fortuna di 'ascoltare' da ragazzino, grazie al giradischi e al mangianastro dei miei fratelli piu' grandi".


"Ho visto anche degli zingari felici" di Carboni

Ecco, un po' di musica di autore. Buon profitto!

mercoledì 14 gennaio 2009

La bufala del ghiaccio in ripresa ricercatore costretto a smentire

La notizia era stata lanciata dai negazionisti, ma lo studioso tirato in ballo nega: "Quelli artici rispetto al 1979 sono diminuiti di un milione di km quadrati"
di VALERIO GUALERZI


ROMA - Guelfi e ghibellini, Coppi contro Bartali, Mazzola contro Rivera. In Italia, è stato ripetuto spesso, si finisce sempre per dividersi in due partiti. Quando si parla di riscaldamento globale il problema travalica però i confini nazionali e lo stesso atteggiamento di sterile contrapposizione investe tutto il mondo. Da una parte chi è persuaso che il mondo si stia rapidamente riscaldando per colpa delle attività industriali umane, dall'altra i negazionisti.

Due fazioni non esattamente simmetriche visto che della prima fa parte la crema della ricerca internazionale sul clima e si esprime attraverso studi posti al vaglio della comunità scientifica. Nella seconda ci sono invece pochi ricercatori outsider e molti polemisti di professione. Ma c'è anche una fazione più catastrofista del primo partito sempre pronta a interpretare qualsiasi segnale, per quanto ambiguo, a proprio sostegno e a duellare su questo terreno con i rivali negazionisti.

A fare le spese di questa contrapposizione sono quasi sempre i dati scientifici, strumentalizzati e tirati da una parte o dall'altra a discapito della loro neutralità e del necessario e faticoso sforzo per capirne realmente la portata. L'ultimo caso eclatante è stata la notizia del presunto recupero dei ghiacci artici usata in questi giorni per ridare fiato alle trombe dei negazionisti. Una caso da manuale del cortocircuito che può colpire l'informazione soprattutto nell'era di Internet.

La notizia, ripresa oltre che dai blog di mezzo mondo anche da giornali nazionali e agenzie di stampa, suonava più o meno così: a fine 2008, dopo la seconda peggiore perdita estiva di sempre (la peggiore fu nel 2007), il ghiaccio marino del Polo Nord ha conosciuto una ripresa vigorosa, tornando nientemeno che ai livelli del 1979. Dato che veniva attribuito alle misurazioni dell'autorovolissimo William Chapman dell'Università dell'Illinois e assolutamente incoraggiante rispetto ai timori di scioglimento totale dei ghiacci estivi nel volgere di pochi anni lanciato appena pochi mesi prima.

Le cose in realtà non stanno esattamente così. Innanzitutto non si trattava di uno studio di Chapman, ma di una valutazione (basta su dati raccolti dall'Università dell'Illinois) di un blogger, Michael Asher, che si limitava a chiedere allo scienziato dell'Illinois un commento nel quale lo studioso spiegava che effettivamente un recupero c'era stato e poteva essere attribuito a una particolare circolazione dei venti gelidi. Ma tanto è bastato a mettere in moto la macchina negazionista. Così alla fine Chapman è dovuto intervenire per mettere fine all'equivoco con una nota ufficiale pubblicata sul sito dell'Università.

Innanzitutto, fa chiarezza lo studioso della criosfera, il dato comparativo non si riferisce ai ghiacci marini artici ma al valore globale che si ottiene sommando quelli di Polo Nord e Polo Sud, con i primi che rispetto al 1979 si riducono di quasi un milione di chilometri quadrati e i secondi che avanzano di circa 0,5 milioni. "Un dato - precisa - poco indicativo rispetto alle valutazioni sul riscaldamento globale in quanto la maggior parte dei modelli sulle previsioni degli effetti dei gas serra sulla criosfera prevedono gli effetti maggiori sull'estensione estiva dell'artico e i dati registrati sono in linea con queste previsioni", mentre alcuni studi sottolineano che "uno degli effetti collaterali del riscaldamento globale può essere proprio un momentaneo incremento nell'estensione dei ghiacci antartici".

Chapman invita inoltre a tenere in considerazione che l'estensione è solo uno dei parametri di valutazione dei ghiacci e non necessariamente il più importante, visto che fondamentale è anche lo spessore, attualmente senz'altro minore rispetto a quello degli anni passati.
(14 gennaio 2009)

mercoledì 7 gennaio 2009

CANNAVARO SEMPRE CANNAVARO...

Sul governo Zapatero: «Bene il rinnovamento delle città, ma sui matrimoni gay...»

Cannavaro: «Gomorra? Nuoce all'Italia»

Il capitano azzurro in un'intervista: «Abbiamo già tante etichette negative, non fa bene alla nostra immagine»

Fabio Cannavaro (Reuters)
Fabio Cannavaro (Reuters)
MILANO - «Per il cinema italiano spero che "Gomorra" vinca l'Oscar. Ma non penso che gioverà all'immagine dell'Italia nel mondo. Abbiamo già tante etichette negative». A sostenerlo è Fabio Cannavaro in un'intervista al settimanale Chi. Il calciatore, capitano della Nazionale e oggi difensore del Real Madrid, teme soprattutto l'equazione Italia=Mafia. «È facile che un problema locale venga generalizzato - ha spiegato - Ancora oggi un mio compagno di squadra mi ha detto: "Italiano? Mafioso"».

«MATRIMONI GAY? NO, SONO ITALIANO» - Cannavaro, nell'intervista, ha affrontato anche altri temi. A proposito del premier spagnolo Zapatero, l'Azzurro sostiene che «la Spagna sta bene, ha investito nel rinnovamento delle grandi città». E sui matrimoni gay? «Mmmh, su quello, forse, sono più italiano...». Spazio anche al gossip, in particolare quello sul suo amico e collega Marco Borriello, attaccante del Milan, in crisi per la fine della storia con Belen Rodriguez dopo L'Isola dei famosi: «Marco è intelligente, gli faccio i complimenti perchè non ha fatto sceneggiate quando lei era sull' Isola: ha aspettato che tornasse e ha preso una decisione. Quando si riprenderà dall'infortunio, sarà decisivo per il Milan».



«IBRA? L'HO MASSACRATO» - Cannavaro non ha risparmiato una battuta sul collega Zlatan Ibrahimovic, candidato al "Pallone d'oro" del 2009: «Per ora, se vuole vedere il Pallone d'oro, deve venire a vederlo a casa mia, che l'ho vinto nel 2006! Quando giocavamo alla Juve, mi diceva: 'Hai vinto lo scudetto a 30 anni grazie a me, prima non avevi vinto nulla". Poi, dopo che ci siamo divisi, lui è andato all'Inter e io al Real, ho vinto un Mondiale, un Pallone d'oro, e due scudetti: l'ho massacrato!».



Ecco il perché

ARCIGAY - Ma le dichiarazioni del capitano azzurro hanno provocato la reazione dell'Arcigay. «Cannavaro riassume bene il machismo del calcio italiano: bello e prevedibile» afferma il presidente Aurelio Mancuso. «Ci rimarranno male i tantissimi maschi gay che ammirano da sempre le beltà partenopee del pallone d'oro - sottolinea Mancuso in una nota - nell'apprendere che a lui non piacciono i matrimoni gay, ma apprezza tutte le altre riforme spagnole. Così il mondiale calciatore ci ha sicuramente spezzato il cuore, per non dire di tutti gli abiti da sposi andati distrutti nelle ultime ore. Le sue opinioni, che fanno il paio con quelle dell'altro sexy simbol Gattuso, non ci faranno dormire per notti intere!».

Corriere della sera 6/1/2009

E voi che pensate di queste dichiarazioni del calciatore?