domenica 31 maggio 2009

CONCORSO LETTERARIO DEL MAE


Scrivi con me

In occasione della IX Edizione della "Settimana della lingua italiana nel mondo" (19 - 25 ottobre 2009) promossa dal Ministero degli Affari Esteri viene indetto il Concorso letterario “Scrivi con me” rivolto agli studenti italiani e stranieri di istituzioni scolastiche italiane all'estero. Il concorso prevede che gli studenti completino un racconto dello scrittore italiano Roberto Alajmo, il cui testo è presenteto senza la parte conclusiva. Gli elaborati giudicati migliori saranno premiati con materiali bibliografici o audiovisivi.


Roberto Alajmo


REGOLAMENTO

1. Il concorso è riservato agli studenti italiani e stranieri frequentanti scuole secondarie superiori italiane all'estero, "sezioni italiane " istituite presso Scuole Europee o scuole straniere secondarie superiori e studenti frequentanti i corsi di lingua italiana ex lege 153/71 esclusivamente a livello di biennio della scuola secondaria di secondo grado.

2. Ogni concorrente dovrà redigere una personale conclusione del racconto inedito di Roberto Alajmo intitolato “La fuga di Nardino”. L'elaborato dovrà essere composto in lingua italiana e dovrà essere redatto secondo il modello (carattere, grandezza, incolonnamento, numero di righe per cartella) scelto dallo scrittore, inoltre non dovrà superare la lunghezza di due cartelle.

3. Ogni testo dovrà essere firmato dall’autore ed accompagnato dai suoi dati personali inseriti in un apposito spazio, come da casella di testo inserita al termine del racconto (allegato 2 - nome e cognome, data e luogo di nascita, classe frequentata, nome scuola, città, nazione). Inoltre dovrà essere allegata l'autorizzazione per l'eventuale pubblicazione del testo prodotto, direttamente firmata dall'autore, se maggiorenne, oppure, se di minore età, da uno dei due genitori, o comunque da chi esercita la patria potestà ( vedi modelli in allegato 3 e 4).

4. Gli elaborati dovranno essere svolti nelle Istituzioni scolastiche interessate entro

Il 9 giugno 2009.

Presso ogni istituzione scolastica sarà costituita una commissione che selezionerà il testo giudicato migliore e lo farà pervenire (con anticipazione via e.mail) entro il 26 giugno 2009 all’Ufficio Consolare.

In Italia i testi verranno esaminati da una commissione di specialisti istituita a Roma presso il Ministero degli Affari Esteri, presieduta dallo scrittore, e composta da rappresentanti delle istituzioni che promuovono l'iniziativa della Settimana della lingua italiana.

5. Gli studenti delle scuole, autori dei sei migliori elaborati, riceveranno strumenti bibliografici ed audiovisivi anche in formato digitale su temi della letteratura e cultura italiana.

6. Gli studenti secondi classificati (sei complessivi) riceveranno anch’essi in premio alcuni strumenti bibliografici ed audiovisivi.

7. I nomi dei vincitori saranno resi noti dall’autore nel corso delle manifestazioni che si terranno dal 19 al 25 ottobre 2009 per la IX edizione della“Settimana della lingua italiana nel mondo”.

8. I testi presentati al concorso resteranno a completa disposizione della organizzazione e non verranno restituiti.

9. Il Ministero degli Affari Esteri si riserva il diritto di far pubblicare una selezione dei testi premiati.

10. I concorrenti dovranno accettare senza condizioni il presente regolamento.

11. Per eventuali aspetti organizzativi non previsti dal presente regolamento, provvederà alle necessarie operazioni e decisioni la segreteria del concorso istituita presso il Ministero degli Affari Esteri.


I giudizi della commissione che selezionerà gli scritti sono insindacabili.


Ecco il racconto: La fuga di nardino.


Era un bambino molto solo: non aveva amici. Era un bambino molto introverso: aveva non uno, ma addirittura due amici immaginari. Si era inventato il primo, ma questo amico immaginario si annoiava a giocare con lui, allora si era a sua volta inventato un amico immaginario. Così i due amici immaginari si mettevano a giocare per i fatti loro, e ogni volta lo escludevano.

Leonardo, detto da sua madre Nardino, aspirava per la verità a farsi chiamare Leo. Ma nessuno lo chiamava così, anche perché del leone non aveva nulla. Era molto timido, anzi, e per nulla aggressivo. Parlava sempre a bassa voce e se gli chiedevano di ripetere ciò che aveva detto, era capace di restarsene zitto anche per delle mezz’ore.

Passava il suo tempo in casa, guardando i due amici immaginari che si divertivano fra loro. Ogni tanto provava a inserirsi nei loro giochi infilando una frase, ma quelli lo ignoravano e proseguivano imperterriti. Aveva come l’impressione che quei due lo considerassero un secchione. Uno sfigato, insomma.

Solo di rado usciva nell’aia del casolare alle porte del paese, dove viveva assieme alla madre. Il suo signor padre veniva a trovarlo un giorno sì e uno no. Viveva e dormiva altrove, in una casa che Nardino non aveva mai visto. Faceva il notaio: una volta se l’era preso sulle ginocchia e gli aveva spiegato in cosa consisteva il lavoro del notaio, ma Nardino, che pure era parecchio intelligente, non era riuscito a capirlo.

A quattro anni certe cose non si arrivano a capire; semmai si intuiscono. Nardino per esempio intuiva che c’era una tensione intermittente fra i suoi genitori. Certe volte quando il signor padre veniva a casa, lei gli voltava le spalle e restava così per tutto il tempo della visita. I primi tempi era lo stesso Nardino che corricchiando da un genitore all’altro si sforzava di fare da ponte fra i due. Ma crescendo aveva imparato che era inutile, ogni tentativo risultava frustrante e la tensione restava nell’aria per tutto il tempo della visita paterna.

Negli ultimi mesi si era convinto che il piacere di abbracciare il suo signor padre non valeva la pena di quel silenzio teso che si creava in casa, per cui aveva maturato un sentimento di cui si vergognava: avrebbe preferito che il signor padre non venisse affatto. L’ideale sarebbe stato vederlo da qualche altra parte, lontano dalla madre e dalle tensioni. Ma era troppo timido per confessare al padre anche solo il desiderio di fare ogni tanto una passeggiata con lui. Un desiderio frutto della combinazione fra due sentimenti diversi: uscire da casa ed esplorare il mondo.

Malgrado i quattro anni, avvertiva un imprecisato desiderio di conoscere l’universo che si trovava fuori dai confini del giardino di casa. Ne intuiva la vastità, capiva che non era alla sua portata, e tutto ciò si traduceva in un ulteriore giro di introversione.

- Che hai, Nardino? Che ti piglia?

La madre si accorgeva della malinconia del figlio e se ne dispiaceva. Ogni tanto cercava di cavargli qualche parola, ma con scarsi risultati. Lui se ne stava zitto a oltranza, e lei aveva troppe faccende da sbrigare in casa per insistere più di tanto. Di solito, visto che i suoi amici immaginari lo ignoravano, Nardino passava quasi tutto il tempo a disegnare. Faceva dei gran disegni sulle pareti di casa. I primi tempi, scoprendo i disegni sul muro, la madre lo sgridava. E quando lo sgridava gliele suonava anche. Ma Nardino, che per il resto era un bambino obbedientissimo, da quell’orecchio non ci sentiva. Era più forte di lui: dopo un’ora era di nuovo in preda a una specie di imbambolamento, con un pezzo di carbone in mano, a disegnare sul muro. Ed erano altre grida, altre botte.

Solo che alla fine, a forza di grida e botte, Nardino era diventato bravo. Pian piano la madre smise di dargli botte e poi anche di sgridarlo: si era resa conto che i disegni del figlio non erano affatto male, per quanto certe volte un po’ astratti. Dalle sgridate era passata ai complimenti:

- Bravo Nardino! E cosa rappresenta?

Il bambino non rispondeva perché, specie i primi tempi, i suoi disegni non rappresentavano niente di preciso. Erano sue fantasie che prendevano corpo nel momento stesso in cui impugnava il pezzo di carbone e si metteva all’opera.

Sua madre s’era rassegnata perché quei disegni tutto sommato riempivano le pareti della casa, che altrimenti sarebbero risultate del tutto spoglie. Nel giro di pochi mesi, da quando la madre aveva smesso di rimproverarlo, Nardino aveva istoriato tutte le pareti di casa, fino a dove riusciva ad arrivare alzandosi sulla punta dei piedi o salendo su uno sgabello, quando sua madre non poteva vederlo.

Poi, col passare dei mesi, in mezzo alle figure geometriche prive di significato, si azzardò a ritrarre dei volti umani. Come primo esperimento provò a fare il ritratto dei suoi due amici invisibili, che dispettosi com’erano neanche fecero lo sforzo di mettersi in posa per lui. Anzi, si voltavano dall’altra parte ridacchiando fra loro per motivi che a lui sfuggivano. Ma Nardino lavorava a memoria e riuscì a farli abbastanza somiglianti. O almeno così gli pareva.

Quando sua madre scoprì quei volti sul muro diventò improvvisamente seria, e Nardino pensò che stavano per ricominciare le botte. Ma la madre non disse niente: lo fissò, fissò ancora i disegni e rimase zitta. Due giorni dopo, quando venne a trovarlo il suo signor padre, la madre anziché mettergli il muso come al solito, lo portò nella stanza dei ritratti e glieli mostrò. Nardino vide i genitori che parlavano fra loro, ma non sentiva cosa si stavano dicendo. Suo padre muoveva la testa come se fosse preoccupato. Ma neanche suo padre lo picchiò, anzi gli fece un sorriso e una carezza fra i capelli. Si limitò a chiedergli:

- Li hai fatti tu, quelli?

Nardino non voleva mettersi nei guai, ma rispose la verità, ammettendo la sua colpa con un cenno del capo. Il padre allargò il sorriso e il bambino capì che non ce l’aveva con lui. Da quel giorno seppe come occupare il tempo quando il signor padre veniva a fargli visita. Appena quello varcava la soglia, Nardino subito lo prendeva per mano e lo trascinava a vedere le sue ultime creazioni.

Nella fino ad allora breve esistenza di Nardino da quel momento cominciò un periodo che poteva risultare sereno, se non proprio felice. La madre gli voleva bene, il signor padre lo apprezzava. Ma lui restava un bambino solitario e introverso, che guardava giocare i suoi amici immaginari senza riuscire a intercettarne l’allegria.

Finché un giorno successe che i due amici immaginari scomparvero. La sera prima c’erano, e il mattino dopo, al risveglio, Nardino non li trovò più da nessuna parte. Li cercò dappertutto, rendendosi conto che per lui rappresentavano un conforto, anche se nei giochi non lo prendevano nemmeno in considerazione. Né poteva chiedere alla madre se per caso li aveva visti, perché sapeva di essere il solo che riusciva a vederli.

Non fu la scomparsa degli amici immaginari l’unica sorpresa di quella mattina. Assieme ai due era scomparso anche il carbone. Nardino ne teneva da parte una piccola riserva di pezzi belli grossi e grassi, che aveva selezionato apposta per disegnare. Li teneva in una cesta vicino al camino, ma anche quelli, che la sera prima c’erano, al mattino erano scomparsi.

Passò una mattinata di schifo, senza riuscire a scoprire dove potessero essere finiti i due amici immaginari e la sua riserva di carbone. Ma siccome era un bambino molto intelligente, il cervello gli galoppava formulando ipotesi a getto continuo. Di una cosa era praticamente certo: la partenza dei due amici immaginari era collegata con la scomparsa del carbone.

Ci sono cose che un bambino di quattro anni pensa. Altre cose che capisce. Altre cose ancora che intuisce. Ma tutti e tre i generi - il pensiero, la comprensione e l’intuito – nel cervello di un bambino di quattro anni vengono frullate in continuazione, in modo che è impossibile distinguere un genere dall’altro. Chi può dire cosa passa per la testa di un bambino di quattro anni che di punto in bianco, senza neanche il pretesto di un litigio con la madre, decide di scappare da casa? E perché poi? Per seguire quali fantasmi? Eppure fu questo che fece Nardino la sera stessa, dopo che le candele di casa furono spente: scappò di casa. Di nascosto. Prese il minimo delle sue cose, scavalcò un davanzale e si trovò a respirare l’aria pungente della notte. Stava per cominciare un’avventura che sarebbe risultata determinante per il suo futuro, senza la quale niente della sua esistenza sarebbe andata come poi sarebbe andata.

Due ultime cose bisogna sapere, prima di scoprire come finisce questa storia. La prima: siamo nell’anno millequattrocentocinquantasei. La seconda: il paese della campagna toscana dove si trovava la casa del piccolo Leonardo si chiamava Vinci.

Roberto Alajmo


Se vi interessa ditecelo e vi invieremo la scheda di iscrizione

Decidetevi dovete consegnare entro il 9 giugno!

1 commento:

Anonimo ha detto...

imparato molto