Sulle piattaforme al largo delle coste venete dove lavorano cento tecnici britannici. "Le barricate nel mio Paese? Sono ridicole"
PORTO VIRO (Rovigo) - "It's a pity. È un peccato, a me piace lavorare con gli italiani, amo l'Italia. Spero che questa storia della raffineria di Grimsby sia solo un incidente". Brian è appena arrivato dalla piattaforma al largo dell'Adriatico dove cento britannici, con altri duecento colleghi italiani e del resto del mondo, costruiscono gomito a gomito un rigassificatore che darà il metano al 10% del nostro Paese. Non ha voglia di parlare, mentre esce dalla base a terra di Porto Viro, protetta come una caserma, dove lavorano altri cento impiegati, quasi tutti della Exxon Mobil, britannici, americani, norvegesi, italiani.
Sembra impaurito dall'idea che una guerra tra poveri possa d'improvviso mettere a rischio questo laboratorio di convivenza e di cooperazione internazionale in mezzo al mare, che non ha mai visto polemiche tra locali e britannici. Qui a Natale gli inglesi cucinano il tacchino per i colleghi del Polesine. Al largo giocano a ping pong, condividono gli stessi pasti, le stesse partite di calcio su Sky.
Identiche le loro cabine sulla piattaforma larga come due campi di calcio e alta cinquanta metri, per due terzi sott'acqua, a 15 miglia dalla costa, o sulla nave alloggio dove riposano dopo 12 ore di lavoro. Ma la notizia di quello sciopero di operai britannici contro gli "italians" arriva come un presagio. Il fantasma di una brutta storia che potrebbe materializzarsi anche qui. Perciò in tanti escono a testa bassa, senza una parola, dribblando le domande.
"Non ho letto i giornali, non so nulla", dice un altro britannico che fila via a testa bassa. "I'm not qualified, non ho titoli per parlare", mormora un terzo che si dilegua nella nebbia che avvolge la base. Sembrano intuire che tra i locali il clima sta cambiando. "In Italia gh'è un casìn - protesta a duecento metri Melchiorre Vidali, muratore, che lavora al cantiene navale - a me l'inglese e il francese non mi danno fastidio, ma se ci rifiutano, dobbiamo farlo anche noi". Anche Luigi Tessarin, titolare dell'hotel di Taglio di Po che ospita una mezza dozzina di tecnici del Regno Unito è preoccupato.
"Gli inglesi vogliono prendersi il loro pane - mormora - ma se fanno così li mandiamo a casa anche noi". Un avvertimento che ha il sapore della legittima difesa. Non ci sono manifestazioni, né proteste in queste terra invasa dall'acqua dove solo la statale Romea riesce a cucire un paesaggio di capannoni, spettri di stabilimenti in disuso e paesini. Però gli scioperi contro gli italiani creano inquietudine. "Va miga bein - protesta Orazio Milani, avventore del bar Mauro dove alloggiano venti polacchi che ogni mattina alle sei partono per la piattaforma e la sera bevono "una birra e uno sprizzetto e vanno a letto alle dieci, senza mai un problema". In Inghilterra "sbagliano di grosso, ci vogliono portare indietro" sentenzia Marziano Berto, il barista. "Sono solo ignoranti", conferma il cliente bevendo il caffè.
Fiutano l'aria anche gli operai della base invitati dall'azienda a non offrire spunti di polemica, soprattutto dopo che la Lega Nord ha minacciato pan per focaccia agli stranieri. Più che mai strette le misure di sicurezza in una base dove è vietato bere alcolici e ci si sottopone a test periodici. "Quello che stiamo facendo è un grande progetto", si giustifica Adriano Gambetta il comandante della base a terra, genovese, capitano di lungo corso che da un anno comanda le operazioni dalla costa. A fine primavera qui cominceranno a produrre metano dal gas liquido che arriva dal Qatar. Tre navi a settimana verranno vuotate, e scalderanno un decimo delle case degli italiani. Otto miliardi di metri cubi di gas prodotti da Adriatic Lng, (45% di Exxon Mobil, 45% di Qatar Gas, 10% di Edison). Un progetto pilota che coinvolge tecnici di mezzo mondo.
Finita la costruzione, resteranno solo 66 italiani per far funzionare la baracca. "L'unica cosa che mi interessa è finire quest'opera", spiega un tecnico inglese: "Non voglio storie e non mi chieda come mi chiamo". Gli scioperi contro gli italiani? "Ridiculous", protesta un impiegato della Exxon che lavora a terra. "Incomprensibile, così si torna indietro", aggiunge Bjorne, norvegese che trova l'Italia "un Paese fantastico". Si lamenta solo del "cattivo tempo" Bill, da Houston, Usa, che per 10 mila dollari al mese più mille per la trasferta ha portato con sé la moglie. Gli scioperi alla raffineria sono solo un incidente? "Proteste sterili, non credo che vedremo mai cose del genere in Italia", scommette il comandante Gambetta.
Meno ottimista l'ingegnere parigino, appena rientrato dalla piattaforma: "E se fosse il primo segnale di una reazione protezionistica alla recessione mondiale? Sarebbe un guaio".
(4 febbraio 2009)
PORTO VIRO (Rovigo) - "It's a pity. È un peccato, a me piace lavorare con gli italiani, amo l'Italia. Spero che questa storia della raffineria di Grimsby sia solo un incidente". Brian è appena arrivato dalla piattaforma al largo dell'Adriatico dove cento britannici, con altri duecento colleghi italiani e del resto del mondo, costruiscono gomito a gomito un rigassificatore che darà il metano al 10% del nostro Paese. Non ha voglia di parlare, mentre esce dalla base a terra di Porto Viro, protetta come una caserma, dove lavorano altri cento impiegati, quasi tutti della Exxon Mobil, britannici, americani, norvegesi, italiani.
Sembra impaurito dall'idea che una guerra tra poveri possa d'improvviso mettere a rischio questo laboratorio di convivenza e di cooperazione internazionale in mezzo al mare, che non ha mai visto polemiche tra locali e britannici. Qui a Natale gli inglesi cucinano il tacchino per i colleghi del Polesine. Al largo giocano a ping pong, condividono gli stessi pasti, le stesse partite di calcio su Sky.
Identiche le loro cabine sulla piattaforma larga come due campi di calcio e alta cinquanta metri, per due terzi sott'acqua, a 15 miglia dalla costa, o sulla nave alloggio dove riposano dopo 12 ore di lavoro. Ma la notizia di quello sciopero di operai britannici contro gli "italians" arriva come un presagio. Il fantasma di una brutta storia che potrebbe materializzarsi anche qui. Perciò in tanti escono a testa bassa, senza una parola, dribblando le domande.
"Non ho letto i giornali, non so nulla", dice un altro britannico che fila via a testa bassa. "I'm not qualified, non ho titoli per parlare", mormora un terzo che si dilegua nella nebbia che avvolge la base. Sembrano intuire che tra i locali il clima sta cambiando. "In Italia gh'è un casìn - protesta a duecento metri Melchiorre Vidali, muratore, che lavora al cantiene navale - a me l'inglese e il francese non mi danno fastidio, ma se ci rifiutano, dobbiamo farlo anche noi". Anche Luigi Tessarin, titolare dell'hotel di Taglio di Po che ospita una mezza dozzina di tecnici del Regno Unito è preoccupato.
"Gli inglesi vogliono prendersi il loro pane - mormora - ma se fanno così li mandiamo a casa anche noi". Un avvertimento che ha il sapore della legittima difesa. Non ci sono manifestazioni, né proteste in queste terra invasa dall'acqua dove solo la statale Romea riesce a cucire un paesaggio di capannoni, spettri di stabilimenti in disuso e paesini. Però gli scioperi contro gli italiani creano inquietudine. "Va miga bein - protesta Orazio Milani, avventore del bar Mauro dove alloggiano venti polacchi che ogni mattina alle sei partono per la piattaforma e la sera bevono "una birra e uno sprizzetto e vanno a letto alle dieci, senza mai un problema". In Inghilterra "sbagliano di grosso, ci vogliono portare indietro" sentenzia Marziano Berto, il barista. "Sono solo ignoranti", conferma il cliente bevendo il caffè.
Fiutano l'aria anche gli operai della base invitati dall'azienda a non offrire spunti di polemica, soprattutto dopo che la Lega Nord ha minacciato pan per focaccia agli stranieri. Più che mai strette le misure di sicurezza in una base dove è vietato bere alcolici e ci si sottopone a test periodici. "Quello che stiamo facendo è un grande progetto", si giustifica Adriano Gambetta il comandante della base a terra, genovese, capitano di lungo corso che da un anno comanda le operazioni dalla costa. A fine primavera qui cominceranno a produrre metano dal gas liquido che arriva dal Qatar. Tre navi a settimana verranno vuotate, e scalderanno un decimo delle case degli italiani. Otto miliardi di metri cubi di gas prodotti da Adriatic Lng, (45% di Exxon Mobil, 45% di Qatar Gas, 10% di Edison). Un progetto pilota che coinvolge tecnici di mezzo mondo.
Finita la costruzione, resteranno solo 66 italiani per far funzionare la baracca. "L'unica cosa che mi interessa è finire quest'opera", spiega un tecnico inglese: "Non voglio storie e non mi chieda come mi chiamo". Gli scioperi contro gli italiani? "Ridiculous", protesta un impiegato della Exxon che lavora a terra. "Incomprensibile, così si torna indietro", aggiunge Bjorne, norvegese che trova l'Italia "un Paese fantastico". Si lamenta solo del "cattivo tempo" Bill, da Houston, Usa, che per 10 mila dollari al mese più mille per la trasferta ha portato con sé la moglie. Gli scioperi alla raffineria sono solo un incidente? "Proteste sterili, non credo che vedremo mai cose del genere in Italia", scommette il comandante Gambetta.
Meno ottimista l'ingegnere parigino, appena rientrato dalla piattaforma: "E se fosse il primo segnale di una reazione protezionistica alla recessione mondiale? Sarebbe un guaio".
(4 febbraio 2009)
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